Don Ciotti all’Istituto salesiano: ognuno scelga da che parte stare. Assumiamoci responsabilità.

Da sinistra, Don Gino, Saverio Candelieri, Don Ciotti e Pietro Melia
Da sinistra, Don Gino, Saverio Candelieri, Don Ciotti e Pietro Melia

Commuove la testimonianza dei genitori del piccolo Domenico Gabriele, vittima di una sparatoria in un campetto sportivo a Crotone il 25 giugno 2009.

Grande folla. Ragazzi e studenti pronti a intervistarlo. Famiglie al completo. Associazioni e persone impegnate insieme all’Opera salesiana nella riuscita della serata. Anche molti ex amministratori venuti ad ascoltare. Tutti per lui, don Luigi Ciotti, che alle 18 ha cominciato a parlare, presentato da Pietro Melia e introdotto da don Gino Martucci, direttore dell’Istituto salesiano, e da Saverio Candelieri, preside della scuola e presidente dell’Unione ex allievi don Bosco, che ieri ha celebrato il suo convegno annuale.

Per due ore don Ciotti ha rapito l’attenzione della platea e ne ha ottenuto un silenzio pensoso, incentrando la sua lectio sul concetto di responsabilità individuale, e di educazione alla responsabilità degli adulti prima di tutto, e quindi dei ragazzi. “Il peccato di oggi è il sapere, tutti sono informati, tutti commentano e giudicano, ma spesso è una conoscenza superficiale, per sentito dire, perchè l’ha detto facebook o la tv”, ha detto Don Ciotti, sottolineando invece che “la conoscenza è responsabilità: abbiamo l’obbligo di conoscere veramente, e se conosciamo dobbiamo prenderci la responsabilità di scegliere da che parte stare e cosa vogliamo fare”.

Non servono i convegni e le tante parole sulla legalità se la corruzione pubblica è ai massimi livelli, se non sappiamo acccogliere l’altro senza fare distinzioni e mettere etichette – ha sottolineato don Ciotti – se si fa politica non  come “servizio per il bene comune”, come la definiva Paolo VI, ma piuttosto per il benessere e il consenso personale”.

Parole forti. Parole dure. Addolcite poi nel ricordo di figure a lui care e vicine, don Pino Puglisi, da poco beatificato, e don Andrea Gallo, da poco mancato. Combattenti che hanno pagato in prima persona il loro stare davvero sempre accanto agli ultimi, e la cui statura viene accostata a quella di don Ciotti, vicino da sempre ai ragazzi con disagio psico-sociale, alle vittime di mafia, alle realtà della tossicodipendenza, della povertà, della prostituzione. Ma don Ciotti rifiuta ogni contrapposizione con le gerarchie ecclesiastiche, quando Melia gli ricorda che il cardinal Bagnasco è stato fischiato ai funerali di don Gallo. “E’ stato un ingiusto, Bagnasco era stato a trovarlo, a don Gallo la contestazione non sarebbe piaciuta”, ha osservato don Ciotti, mostrando quindi la sua scelta: l’obbedienza ai suoi superiori, al di là di scelte opinabili o posizioni differenti.

Importante, infine, per don Gallo, la riservatezza “da conservare nel rapporto personale con chiunque”. Uno scudo con il quale si difende da tempo dalle domande sulla vita e la morte di Eduardo Agnelli, sfortunato figlio dell’Avvocato, che era passato dalla sua comunità del “Gruppo Abele”, fondata a Torino già nel 1965.

A commuovere la platea, dopo le parole di don Ciotti, la testimonianza di Giovanni e Francesca Gabriele, genitori del piccolo Domenico, “Dodò” per i familiari, la cui vita è stata spezzata a soli undici anni in seguito a una sparatoria nel campetto in cui giocava in una sera di giugno del 2009, alla periferia di Crotone. L’obiettivo era un’altra persona, ma i killer hanno sparato molti colpi ferendo tanti ragazzi e adulti che in quel momento stavano giocando una partita di pallone.

A Domenico, un bambino dolcissimo, intelligente, che amava il calcio, la Juve, ma anche la natura e la scuola, è andata peggio di tutti: dopo tre mesi di coma si è spento in ospedale. I suoi assassini sono ora in carcere, condannati in primo grado all’ergastolo. Ma i suoi genitori hanno deciso di non chiudersi nello strazio, ma di testimoniare l’importanza della battaglia contro l’omertà, le connivenze, il potere delle cosche di ndrangheta, grazie al sostegno che hanno ricevuto da Libera, l’associazione di Don Ciotti che fa “Nomi e numeri contro le mafie”. Francesca e Giovanni hanno raccontato come “Libera” li abbia aiutati a uscire dalla trincea senza speranza del dolore, e ad andare a testimoniare la loro esperienza in tutta Italia, nelle scuole e negli incontri organizzati. Due genitori forti ed esemplari nel chiedere giustizia per il loro bambino e nell’ammonire tutti a camminare, insieme, nella legalità e nel rispetto degli altri, sperando che quello che è successo a loro non succeda mai più.

Teresa Pittelli @teresapittelli

 

By Teresa

Giornalista, ora anche blogger, vive nei dintorni di Soverato con il marito Orlando e i due figli Viola e Luigi. Cerca di scrivere quello che di bello e di brutto succede nella sua terra, e conservare obiettività e serenità anche quando il contesto non aiuta.

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