Sette consiglieri si dimettono in dissenso sul bilancio. Ma i rumors raccontano anche guerre di potere all’interno della maggioranza.
Un anno e mezzo dopo stesso film thriller dell’aprile 2013, stessa scena del delitto, in qualche caso stessi attori: se ne va a casa con la mortificazione della sfiducia anche il giovane sindaco Ernesto Alecci, com’era toccato a Leonardo Taverniti appena diciassette mesi fa. La sveglia a una città intorpidita da anni di caos politico, economico e amministrativo è suonata ieri mattina alle 9, quando al protocollo del Comune si è presentato Emanuele Salatino, ventiquattrenne presidente del consiglio comunale da un po’ in rotta con la squadra civica nella quale è stato eletto, soprattutto dopo aver bocciato in aula, insieme ad altri due giovani colleghi di maggioranza, il bilancio preventivo 2014. Salatino, delegato da altri sei consiglieri, ha presentato e protocollato le dimissioni irrevocabili di tutti e sette: tanto i tre dissidenti di maggioranza Vittoria Ciaccio, Gabriele Francavilla e Salatino stesso, quanto i quattro di minoranza Francesco Manti, Katya Urzino, Pietro Curatola e Antonello Gagliardi. Sfiducia per il sindaco Alecci, quindi, e conseguente caduta dell’amministrazione. Una scelta “sofferta ma necessaria per il bene della città e per porre fine a una situazione di assoluto stallo amministrativo”. Una decisione sulla base dei dubbi e delle critiche sul progetto di bilancio di previsione predisposto dalla giunta e già bocciato in consiglio comunale lo scorso 30 settembre. Un bilancio ritenuto non affidabile sia per le entrate “troppo ottimistiche” che per le spese “eccedenti la reale capacità finanziaria dell’ente”. Questi alcuni tratti salienti delle motivazioni che accompagnano l’atto presentato dai sette consiglieri. Oltre ai motivi tecnici sui conti dell’ente, però, emerge anche con evidenza un disagio tutto politico-amministrativo da parte dei dimissionari.
E il malessere dei tre giovani e ormai ex amministratori sembra un risvolto importante per comprendere il quadro che ha portato alla caduta dell’amministrazione a soli quattro mesi e mezzo dall’elezione, al di là delle remore sul bilancio. Che la salute delle casse dell’ente non fosse proprio florida e che il piano di rientro fosse molto complicato, bocciato com’era stato anche in appello dalla Corte dei conti, i giovani Ciaccio, Francavilla e Salatino lo sapevano già quando si erano presentati alle elezioni insieme ad Alecci e ai “Mancini boys” Salvatore Riccio, Antonio Rattà e Vittorio Sica. Perché allora scoprire l’acqua calda dopo cinque mesi e buttare all’aria il governo cittadino? Semplice. Prima c’era un garante della tenuta di quei conti e della maggioranza che si chiama Ernesto Alecci. Col passare dei mesi, e con un’accelerazione negli ultimi venti giorni, però, quel garante avrebbe perso la fiducia dei tre e il contatto con loro. Perchè? Qualcuno parla di mal di pancia per il peso crescente di alcuni assessori in parallelo alla poca attenzione riservata alle loro istanze. Qualcun altro ricorda le tegole giudiziarie pendenti sull’amministrazione, dal pronunciamento del Tar il prossimo 7 novembre per la storiaccia delle presunte firme falsificate di alcuni candidati di Verso il futuro (due su tre appartenenti ai dimissionari di maggioranza), agli eventuali danni erariali dei quali potrebbe trovarsi a rispondere chi vota un piano di riequilibrio che poi fallisce. Al di là dei rumors e delle ipotesi che già stanno riempendo i capannelli sul corso e le bacheche di facebook, quel che è certo è che nei prossimi giorni il prefetto Raffaele Cannizzaro dovrà pronunciarsi sulla nomina di un commissario prefettizio. Se così non fosse, nelle more del decreto del presidente della Repubblica di scioglimento del consiglio comunale l’amministrazione resterebbe in carica solo per l’ordinaria amministrazione.
Teresa Pittelli