Un 25 aprile molto speciale, nell’amarezza e nell’intensità dei sentimenti che suscita la vergognosa e frettolosa chiusura dell’Ora della Calabria, con i giornalisti che ieri, nel giorno della Liberazione dell’Italia dal nazi-fascismo, hanno deciso di occupare la sede centrale di Rende (seguiti subito dai colleghi della redazione di Reggio Calabria).
Collaboro all’Ora da più di tre anni, non molti per dire di aver vissuto a fondo le traversie e i colpi di scena che ne hanno segnato il destino, ma abbastanza per assistere all’avvicendamento di due direttori, Piero Sansonetti e Luciano Regolo, al suicidio inaccettabile del giovane collega Alessandro Bozzo, a molte cose che andavano diversamente da come avrebbero dovuto – condizione in cui versa quasi tutto il giornalismo regionale – e a molte altre invece belle e promettenti, come la passione e l’impegno di tanti giornalisti determinati ad andare avanti nel loro lavoro, la dedizione di molti colleghi in posizione di responsabilità, di tantissimi giovani collaboratori decisi a raccontare i loro territori anche senza guadagnare molto e a costo di risultare sgraditi ai signorotti locali, le cronache dal Pollino allo Stretto, le pagine di Macondo, la meravigliosa e breve “primavera” della rivolta e della denuncia, a partire dall’ormai famoso caso Gentile, che tutti noi stavamo vivendo.
E che adesso è stata spazzata via da un gelido inverno di fine aprile: minacce di acquisizioni impensabili perché proposte proprio da chi ci voleva censurare, sospensione improvvisa delle pubblicazioni, comunicata con una scarna e-mail serale dal liquidatore Giuseppe Bilotta, autorizzazione allo sgombero dei locali e delle attrezzature delle redazioni e avvio delle procedure di licenziamento collettivo, sempre decise e comunicate rapidamente dal solerte Bilotta.
E insomma. Strano che proprio pochi giorni dopo l'”Oragate”, cioè le dimissioni del sottosegretario Gentile in seguito alle coraggiose denunce del giornale relative al suo tentativo di censura su un’inchiesta della magistratura relativa al figlio Andrea, pochi mesi dopo l’annuncio della volontà di rilanciare la testata con l’arrivo alla direzione di un giornalista rigoroso e appassionato come Luciano Regolo (forte “stu Regulu”… deve aver stupito più di qualcuno con la sua inflessibile schiena dritta!), a pochi giorni dagli scoop su Catanzaropoli e dagli editoriali senza peli sulla lingua sulla politica regionale, continuare a mandare in edicola il giornale sia apparso addirittura insostenibile, e che si sia deciso di oscurare anche il sito (gestito da un’altra società).
In queste ore fioccano i comunicati di solidarietà di una parte della politica (Pd e Sel in primis), del sindacato, dei giornali nazionali che continuano a seguire con preoccupazione la vicenda, dal Fatto Quotidiano a Libero, dal Messaggero ai giornalisti del Corsera, ai siti di news di ogni dove. Assordante, avvilente, inedito, invece, il silenzio scelto negli scorsi giorni dalle testate locali, rotto oggi da un pezzetto del Quotidiano della Calabria che ha riferito i contenuti della conferenza stampa indetta ieri dai giornalisti de L’Ora e la loro decisione di occupare la sede della testata.
In questa Ora grave, compreso per i colleghi che scelgono il silenzio senza comprendere che questa è una battaglia che ci riguarda tutti senza distinzione, la buona notizia è che i giornalisti dell’Ora continuano da oggi a scrivere i loro articoli e le loro denunce sul blog http://
Si stanno intanto vagliando molte vie per reagire, per denunciare l’illegittimità delle procedure seguite, per vagliare proposte, per tornare in edicola. Nel frattempo, la cosa più notevole da registrare è l’immensa solidarietà da parte della gente, di tanti giovani, di lettori e non lettori. La voglia palpabile dei calabresi di ribellione. Di cambiamento. Che la “morte” dell’Ora, in questi giorni di Pasqua 2014, sia un viatico per la resurrezione di un intero popolo?
Crediamoci! E facciamo qualcosa, ognuno per quel che può. Ne va del futuro nostro e della nostra libertà di parola, di pensiero e di azione, e non solo di quello dei 66 giornalisti che rischiano di rimanere senza lavoro. Buona festa della Liberazione.
Teresa Pittelli