Migliaia di iscritti in poche ore. E un’intera città ritrova orgoglio e unità…
Dove non hanno potuto la politica né le prospettive economiche di questi tempi è riuscito invece un gruppo creato qualche giorno fa su facebook quasi per scherzo, e che conta ora quasi 2 mila utenti. Con un ritmo di partecipanti che cresce a vista d’occhio. Si chiama Sei di Soverato se…, e il ragazzo che l’ha creato, Antonio Prunestì, intendeva forse solo scambiare ricordi e aneddoti tra amici sui modi di essere tipicamente “soveratani”. Non immaginava certo l’incredibile e virale boom di consensi, con utenti che confessano di alzarsi la mattina con il pensiero di leggere i nuovi post del gruppo. E con migliaia di persone coinvolte nella gara ad aggiungere il proprio contributo per quello che sta diventando un monumentale album dei ricordi, sia a colori che in bianco e nero, di una città che nonostante le molte difficoltà si riscopre amatissima dai suoi abitanti.
Una partecipazione di massa che parla della gran voglia di riscoprire identità, unità, uno stare insieme d’altri tempi, seppur virtuale. Per dirla con un utente: “Giovani e vecchi, del borgo o della marina, condividiamo tutti meravigliosi ricordi e siamo uniti dall’amore per la nostra terra”.
Tra le chicche imperdibili del gruppo, c’è la spoon river di personaggi mitici, ora scomparsi ma che nessuno può dimenticare per il particolare segno che hanno lasciato: fosse la bontà di Michelino De Pace, la severità da dura col cuore tenero di suor Cosimina, l’imponente figura di “Pinone”; ma compaiono anche ragazzi ancora nel cuore di tutti seppur mancati nel fiore degli anni, come Giorgio Gioviale e Marcello Mancusi.
Infine, la carrellata di personaggi tipici che non si può non conoscere: “Sei di Soverato se conosci lo Scrittore” per esempio, oppure se sai chi è “Coppi“, con relativi aneddoti e frasi rimaste nella leggenda. Ma sei di Soverato anche “se sai almeno una canzone di Michele Amadori“, cantautore partito da qui e affermatosi a Roma. E poi c’è la gara a riconoscere luoghi, negozi e botteghe simbolo, che ora non ci sono più o hanno cambiato nome. Da “Totino” calzature al “bar Randazzo” in piazza, dal market “Gomar” alla discoteca “Labbro D’oro” dove ballavano i genitori degli attuali trenta-quarantenni, fino ai bar Casablanca e Gorizia dei fratelli Lupica (e relative cabine telefoniche), che per molti dei nostalgici utenti rimandano automaticamente a tanti pomeriggi e serate giovanili.
Ancora, l’omaggio a persone illustri come l’indimenticato sindaco Antonino Calabretta, al quale va la gratitudine di aver insistito a Roma finchè Soverato non è stata dichiarata “città” nel 1974, o a figure come il “dottore Pittelli“, pediatra ricordato per la sua umanità e disponibilità.
Immancabile l’eco delle ore di sport, scuola e gioco trascorse negli oratori e nelle scuole dei salesiani e delle suore, che hanno segnato infanzia e adolescenza della quasi totalità dei soveratani. Ed eccoli ricordati per nome, con le loro virtù e i loro difetti, ma sempre con affetto: suor Nellina, suor Mattea, suor Grazia che insegnava inglese e “suor Maddalena di educazione fisica”, e poi i salesiani, don Voci e i suoi mille aneddoti, don Ferruccio, don Mariano, don Gelmi, don Formato, don Alfonso, solo per citare alcuni tra tantissimi. C’è chi sfodera anche nomi e foto di maestri, prof e bidelli della scuola pubblica, soprattutto delle elementari di via Olimpia e della media Ugo Foscolo, e delle “bacchette di legno che facevano male”.
A dominare, l’elenco dei rituali che allora come oggi contraddistinguono il “soveratano doc”, dal tuffo in acqua alla festa della Madonna a mare alla brioche con gelato al bar Morè alla gnagna del fornaio Giacinto, al “prendere la macchina per fare pochi metri”. Tutte cose “che chi vive fuori appena arriva si precipita a fare”. Già. La grande opportunità del vivere altrove, che capovoltà diventa, se non dramma dell’emigrazione, di sicuro una spina conficcata nel cuore di chi non può soffocare la nostalgia e il richiamo delle origini. Spuntano così estati passate a ballare al Gange, momenti di intimità tra innamorati cercati in spiaggia complice il buio, sapore di gelati, panini con “pipi e patati” e muluneddi, e poi competizioni sportive, soprattutto di calcio e basket, oltre che volley, altra storica realtà che ha segnato le adolescenze di quasi tutti. E giù ricordi di nonne e nonni, mamme e papà, zie e zii, spesso non senza ironie e sfottò, in una gara infinita a chi riconosce questo o quel luogo, questo o quel personaggio. Un racconto collettivo che, amarcord e nostalgia a parte, ha il merito di aver rispolverato un patrimonio di valori identitari incancellabili, ai quali magari fare riferimento in tempo di crisi. Anche per ripensare il futuro.
Teresa Pittelli