Una storia di ordinaria resistenza, invece purtroppo straordinaria, in Calabria come in Italia, quella raccontata da Rosy Canale in “Malaluna”, l’anteprima nazionale che ha aperto domenica la stagione del Teatro del Grillo. Un testo tagliente e poetico, benedetto dalle musiche di Franco Battiato (da Stranizza d’amuri in apertura a Povera patria in chiusura), che in un’ora che vola in fretta racconta la vicenda vissuta e ora interpretata da Rosy. Ragazzina cresciuta tra la sua casa di Reggio e un’incantata provincia, a Fiumara, “dove le casette hanno un’anima e le finestre sono gli occhi”, dove fissa le immagini di Santi e Madonne di sua nonna Maria, s’intimorisce davanti alla Madonna di Polsi, “Maria della montagna, la guardiana dei summit di mafia”, resta affascinata e spaventata dallo spettacolo delle donne con i piedi massacrati dal pellegrinaggio sul sentiero roccioso che porta al Santuario. Sente di morti ammazzati, realtà vicina e ancora distante. Poi la voglia di cantare, l’amore per la musica, la partenza giovanissima per New York, e il ritorno a Reggio Calabria dettato dal destino, da un amore da cui nasce una figlia, e che le fa decidere di provare a realizzare qui le sue passioni. In un locale del centro, il Malaluna, di cui diventa direttrice artistica e che, “anche se non è il Madison Square Garden”, le porta notorietà e stima nell’ambiente, benessere economico, tante conoscenze. In quegli anni, tra la fine dei ’90 e i primi 2000, il Malaluna diventa un posto di culto, il regno della movida reggina.
“Non mi mancava niente”, recita Rosy, “finché un giorno…”. Un giorno sorprende alcuni ragazzini a spacciare palline di carta stagnola nel suo locale. Droga. Li strapazza. Gli sequestra e butta via le palline. Loro tornano, e con loro i primi avvertimenti. Prima con il volto bonario del conoscente simpatico: “Cummarella che fa non lo lasciate guadagnarsi qualche euro a ‘sto ragazzo?”. Poi le minacce. Come la macchina che non si trova nel punto dove l’aveva parcheggiata. Come gli ordini che saltano. Il personale che si ammala di sabato sera. E la macchina che brucia, una due quattro volte, nonostante Rosy la ricompri, sempre lo stesso modello e lo stesso colore. Una notte del 2004 due tizi la bloccano, le puntano una pistola in faccia. Non l’ammazzano, ma la lasciano a terra agonizzante, con varie fratture e pochi denti in bocca. “Mi ci sono voluti otto mesi di ospedale e tre anni di limbo mentale per riprendermi, e al Malaluna non sono più tornata”, narra Rosy dal palco, davanti a un pubblico delle grandi occasioni sempre più zitto, rapito.
Ma nel 2007 succede qualcosa che risveglia Rosy, e da New York, dove si trovava, la convince a un nuovo ritorno: la strage di Duisburg, in Germania, sei morti per una faida tra cosche di S. Luca. Rosy va a S. Luca, incontra quelle donne, abituate da sempre a veder morire padri, fratelli e mariti. Si raccontano. Si riconoscono. Pensano per la prima volta che qualcosa possa cambiare. Sottrarle a quel destino di violenza mai voluto, scritto da altri. Si stringono intorno a Teresa Strangio, la sua rivoluzione del perdono dopo l’omicidio del figlio Francesco a Duisburg, per interrompere la catena di morte. Nasce il movimento “Donne di S.Luca”, del quale Rosy è l’anima. Obiettivo è togliere i minori dalla via della ‘ndrangheta. Arriva un palazzo confiscato alla mafia dove nascono i laboratori per mamme e bimbi, la ludoteca, il piccolo cinema. Un miracolo che non è la ‘ndrangheta a fermare, stavolta, ma un’altra forza probabilmente più letale: l’incuria dello Stato, il taglio di ogni finanziamento. Dopo un po’ non è più possibile pagare le utenze. Tutto si ferma. “Ma in fondo allo Stato interessa qualcosa dei bambini di S. Luca, dei bambini calabresi?”, si chiede Rosy in chiusura e sono lacrime, del pubblico e le sue anche, che si emoziona per questa “prima”, e sono applausi in piedi per lunghi e lunghi minuti. Con una grande novità che Rosy da a questa testata alla fine dello spettacolo: “Tornerò presto a S. Luca. Anche grazie all’eco di questo spettacolo, ho trovato persone interessate ad aiutarci, a riprendere il cammino delle donne”, annuncia. Una bella notizia. Come quella di un teatro soveratese che grazie all’impegno del suo direttore, Claudio Rombolà, è riuscito a ospitare in anteprima nazionale una delle più belle pagine di vita e teatro alle quali si possa assistere.
Teresa Pittelli
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