Non posso pensare che Mario Daniele non torni più a Soverato, e credo che, dovunque sia la sua anima, non ci possa credere nemmeno lui. Di Davoli, certo, il padre; di Soverato la madre e congiunta di chi scrive, ma si sentiva molto “soveratano”, legato dall’infanzia, dagli studi, dalle amicizie.
Tornava ogni volta che glielo consentiva il suo impegno di giudice e presidente di tribunale, e chiamava gli amici a una cena, a leggere qualche suo strano e affascinante romanzo… Amava gli svaghi letterari, e ha scritto un gustoso libretto sulla sua vastissima parentela davolese e soveratese; e dei racconti che non possiamo definire edificanti.
Era uno squisito giurista, un uomo di cultura, un amante della vita, un impenitente e felice goliardo; piacevole e intensa la sua conversazione.
Usava bene anche il dialetto che ancora coltivava dopo tanti anni di lontananza. Raccontano che a Milano, se qualche imputato tentava di gabbarlo in nome della paesanità, gli chiedesse, in vernacolo: “E Suvaratu si’? E u canusci… ”, e faceva il nome di qualche personaggio caratteristico, per svergognare il trucco.
Mario Daniele in spirito è sempre a Soverato. Ciao, parente e amico mio.
Ulderico Nisticò