Riflettendo sul dettato costituzionale e sull’ipotesi di modificarlo su cui da anni si dibatte e oggi ancor più, ammetto di avere vissuto un sereno conflitto con me stesso. Da una parte la mia ostinata convinzione a dover assumere i panni, come tanti, di difensore, senza se e senza ma, della Costituzione e dall’altra invece la tentazione di ammettere che qualcosa nel testo redatto dai nostri costituenti ed ora in vigore andava cambiato. Mi è venuto incontro – ed è riuscito anche se adesso sta in cielo – ancora una volta Indro Montanelli. Chiarisco l’espressione “ancora una volta” perché quando era sulla terrà, il caro Indro, arricchì con le sue opinioni la mia tesi di laurea in giurisprudenza discussa a Bologna pubblicandole sul Corriere della Sera in risposta ad alcuni miei interrogativi. Ebbene Indro in una vecchia intervista rilasciata ad Alain Elkann in tv, che mi ha fatto molto riflettere e che sottoscrivo dopo averci pensato su, mette in evidenza due difetti che minarono il dettato costituzionale. Mi limito ad un accenno sul primo, preferendo soffermarmi sull’altro. Nel primo il grande giornalista richiama questioni tecnico-politiche riferite al numero dei costituenti e a come fu organizzato il lavoro, chiudendo con una battuta di Calamandrei durante i lavori “noi stiamo montando una macchina che magari pezzo per pezzo sarà ben fatta ma le cui giunture non coincidono con le giunture di altri pezzi”. Se si pensa che i vari gruppi di lavoro che “montarono” la Costituzione da buoni italiani, mantennero le loro posizioni senza di fatto trovare una efficace sintesi non volendo rinunciare al proprio elaborato, non si può non rilevare come qualche piccola (?) contraddizione nei 139 articoli si scorge, contraddizione non solo ideologica ma – mi permetto appena di affermare en passant – anche giuridica, determinata dalla ostinazione dei vari gruppi della costituente, tenaci a non cedere sulle proprie posizioni a favore di una comprensiva di tutte. Ma è il secondo difetto messo in luce da Montanelli, quello che mi ha fatto riflettere maggiormente. Infatti il grande giornalista, parte da una considerazione interessante, ovvero che i costituenti costruirono il tessuto della nostra carta costituzionale ponendo molta attenzione a non creare le condizioni per un ritorno del fascismo, che sarebbe stato agevolato a loro giudizio, dalla presenza di un governo forte, perché secondo loro il fascismo era il premio dato a un potere esecutivo che governava senza i partiti, senza controlli, etc. Per far ciò ritennero di dovere esautorare completamente il potere esecutivo rafforzando il potere dei partiti e assicurando ad ognuno di essi molta forza anche al più piccolo. Diversamente invece fecero i tedeschi appena ebbero l’occasione di darsi una Costituzione dopo essersi liberati dal nazismo. Essi partirono dal ragionamento che il nazismo fu il frutto della Repubblica di Weimar, ovvero dell’impotenza del potere esecutivo. Infatti, considerarono che l’avvento del nazismo fu favorito dall’impossibilità dei tedeschi di dotarsi di un governo forte e duraturo, causato dalla litigiosità dei partiti che non riuscivano mai a trovare una maggioranza stabile. In sostanza mentre i tedeschi creavano un modello costituzionale per evitare una seconda Repubblica di Weimar noi in Italia senza affermarlo esplicitamente, di fatto ne realizzavamo un modello simile. Se proviamo a dare uno sguardo all’attuale quadro politico italiano, è difficile dare torto a Montanelli. Ecco perché, se fra le priorità della politica c’è anche quella di modificare la Costituzione, soprattutto per quel che attiene alla struttura degli organi di rilevanza costituzionale, quella breve intervista di Elkann a Montanelli andrebbe portata maggiormente all’attenzione. Come dire, dovunque si trovi: meno male che Indro c’è.
Fabio Guarna