Premetto che nominando questa brutta parola spero di esorcizzarla, e che il dissesto si possa ancora evitare. Sarebbe, infatti, un colpo durissimo e all’immagine di Soverato, e al suo avvenire, per le conseguenze giuridiche e amministrative che ormai tutti sanno: aumenti di tariffe e imposte, e sostanziale blocco di ogni iniziativa e attività.
Qualcuno sta facendo circolare una battutaccia, che il dissesto porterebbe con sé un machiavellico vantaggio, quello di escludere dalle prossime elezioni la vecchia classe dirigente. Sarà anche vero, amici: ma se in Soverato al posto dell’uscente classe dirigente ce ne fosse pronta una nuova, questa non aspetterebbe il dissesto o altri marchingegni procedurali, e si farebbe avanti, pretenderebbe e conquisterebbe degli spazi. Se ci fossero dei giovani rivoluzionari, si farebbero sentire. A Soverato una classe dirigente nuova non c’è, come del resto non c’è nemmeno una vecchia. Semplicemente non c’è una classe dirigente, ed ecco la radice dei nostri problemi. Non c’è, in una città di quasi tutti laureati o diplomati, un ceto intellettuale che esprima un parere qualsiasi (esclusi i presenti, ovvio); se qualche rarissima volta qualcuno scrive o parla, è la fiera dell’astratto e del generico, l’antichissimo vizio mentale del calabrese che se piove non apre l’ombrello ma disserta sui cambiamenti climatici degli ultimi e dei prossimi sei secoli; e mai fare nomi. Non c’è un ceto imprenditoriale perché sono spariti industrie e grandi commerci, e il turismo è un gioco di quindici giorni. Non c’è un ceto politico, perché non c’è una socialità che lo esprima; e non ci sono partiti; e, come vado ripetendo, le liste paiono fatte più a Catanzaro, Reggio, Lamezia che a Soverato e per Soverato.
Le radici della crisi sono antiche. Ma è antico anche il dissesto latente, cioè l’accumulo di debiti e uscite senza che corrispondessero adeguate entrate. Ai tempi ignobili in cui Andreotti, Ciampi, Craxi, con l’avallo anzi l’istigazione di PCI e sindacati e di un certo pseudo cattolicesimo assistenziale, inventarono una ricchezza fasulla stampando banconote come fossero coriandoli e lo erano, il Sud tutto godette di un tenore di vita enormemente sproporzionato alla sua produttività sempre più debole; e Soverato, Perla dello Ionio e Diamante dell’Oceano Pacifico, si credé in diritto di beneficiare del Bengodi pure più degli altri. E giù spese su spese, e nemmeno per opere pubbliche di chissà quale rilievo e costo, se tutto quello che resta dagli anni 1980 a oggi è: la via Amirante; la pedonalizzazione del Lungomare; il breve tratto Giovanni Paolo II; la piccola via dell’Ippocampo; il selciato di Soverato Superiore; lo stadio; il palazzetto del tutto inadeguato; il sottopasso pedonale in grave degrado; il sottopasso carrabile; il depuratore; l’acquario su cui è meglio mettere una pietra sopra; il teatro; la villa comunale. Considerando che alcuni lavori come il teatro hanno goduto di finanziamenti non comunali, si tratta di poco più di quanto hanno tantissime altre piccole città senza andare incontro alla rovina economica e al dissesto.
Gravissimo errore prima di tutto sociologico fu l’edilizia economica e popolare, una botta di demagogia, anzi due, che il Comune dovrà pagare per i prossimi decenni, e che non fu economica per nessuno; e tanto meno popolare. Discorso lungo, lo riprenderemo.
Attenzione: i politici e politicanti succedutisi non sono stati né rapaci né disonesti né tangentisti – sia detto in generale – sono nostri concittadini medi, di quelli che, come tutti noi, dopo la morte non andranno certo in Paradiso direttamente, e avranno bisogno per redimersi a pieno di alcuni secoli di Purgatorio, però non li attende Belzebub con il forcone. Detto in generale, nessuno è scappato con la cassa del Comune. Sono in mezzo a noi e ne conosciamo anche il tenore di vita, più o meno immutato dopo la carica pubblica. E allora?
E allora sono stati commessi per decenni errori di ottimismo, di leggerezza, di “tutto s’aggiusta” di andreottiana memoria; di convinzione che una legge finanziaria e un deputato amico… E l’opinione pubblica tutta mica si è opposta mai, mica qualcuno si è lamentato … mi viene da ridere. Quando ero segretario politico del MSI e Castagna consigliere, scoprimmo che il Comune aveva un numero di telefono per il Camposanto, e che tal numero aveva ricevuto una bolletta astronomica, 180.000 lire nel 1976: divertitevi ad aggiornare in euro. Siccome i defunti comunicano tra loro e con i vivi con mezzi spirituali, era ovvio che a telefonare non erano gli eterni ospiti del Cimitero ma gli ospiti transeunti degli ospiti, cioè i parenti dolenti in carne che, trovandosi lì, si ricordavano di un’urgente comunicazione con l’amico in Australia… Tanto, pagava Pantalone!
E non parliamo della pianta organica, compreso quando c’erano trenta (30!) consiglieri comunali, più l’USL, il Distretto scolastico eccetera.
Sed haec olim fuere, dice Catullo, ovvero ormai è acqua passata, perché i soldi sono finiti; e ne scrivo per la storia… beh, la cronachetta locale.
Se riusciremo in estremo a salvarci dal dissesto, spero che la lezione ci serva, e bisognerà fare quanto segue:
– spese oculate;
– entrate certe.
Tutto qui? Certo, tutto qui, mica ci vuole un Nobel per l’economia (a parte che ultimamente i Nobel per l’economia hanno causato dei danni mondiali apocalittici, quindi sono meglio io). Chi ha intenzione di applicare questa ricetta, si candidi alle prossime elezioni; astenersi perdigiorno, demagoghi e ottimisti ciechi. Le quali, a titolo strettamente personale, io mi auguro si celebrino il più tardi possibile.
Ulderico Nisticò