Il magico Natale dei tempi andati

Tre pubblicazioni di Francesco Pitaro fanno rivivere la suggestione delle antiche tradizioni calabresi

Natale, di certo la festa più suggestiva della cristianità, ha da sempre ispirato fior di scrittori, poeti, pittori. Di ogni tempo e di ogni regione. Ma anche la più dimessa e modesta saggezza popolare fatta di tradizioni nelle quali sacro e profano convivono e finanche finiscono col sovrapporsi; che parla di detti, proverbi e canti la cui origine si perde nella notte dei tempi; di specialità gastronomiche tipiche che venivano ammannite sulle nostre tavole.

A ciò non poteva restare estranea la Calabria che in fatto di riti, tradizioni e opere ispirate alle festività natalizie non è seconda a nessuno. Il suo patrimonio culturale e il notevole retaggio di usi e costumi riconducibili alle festività natalizie sono tali che hanno ispirato Francesco Pitaro, giornalista e collaboratore di Soverato Web, a mandare nelle librerie, tradizionali e online, tre suoi volumetti di circa cento pagine ciascuno, entrambi dedicati al Natale nelle antiche tradizioni calabresi. Tutti e tre editi da ilmiolibro.it edizioni, portale di publishing del Gruppo Editoriale l’Espresso.

Nel primo di essi, Natale d’altri tempi in Calabria , l’autore, giornalista nato a Gagliato e da trent’anni residente a Montepaone, raccoglie suoi articoli, note, interventi, curiosità da cui emerge un interessante spaccato di una realtà sociale ricca di fede e di valori umani oggi pressoché scomparsa. Realtà, questa, direttamente legata a quella civiltà contadina che ci siamo lasciati definitivamente alle spalle e che il dipinto del pittore soveratese Carmelo Stratoti, che illustra la copertina, ben rappresenta con le figure di due caratteristici zampognari.

Il secondo volumetto, Magico Natale, racconti e poesie dialettali calabresi è una miscellanea, come recita il sottotitolo, di racconti e poesie nei dialetti di Gagliato e Montepaone che Francesco Pitaro ha pubblicato su riviste specializzate, alcuni anche sulle pagine culturali di Gazzetta del Sud.

Il terzo, infine, è una piccola monografia dedicata al dolce natalizio d’altri tempi, la copèta. Questo manicaretto che l’autore ha battezzato “il torrone dei poveri” è tipico di Montepaone, che per antonomasia era, ed è ancor oggi, definito come il “paese dei copetari”. Montepaonesi infatti erano i tanti bravi artigiani e contadini che preparavano e commerciavano il prodotto nella fiere paesane dell’intera regione. Spesso in un rapporto di rivalità e gelosia con gli altrettanto bravi mostaccioli di Soriano. Non pochi aneddoti, a riguardo, Pitaro ha recuperato dalle tradizioni orali e da interviste con anziani copetari ed ha inserito in quest’ultima pubblicazione.

In queste sue recenti opere Pitaro, senza per nulla apparire colui che vagheggia e rimpiange un passato che ormai non c’è più, fa trasparire tuttavia una certa nostalgia per la semplicità e la genuinità del Natale della sua infanzia. Un’infanzia che ha rappresentato un discrimine della civiltà dei consumi sul punto di scomparire e l’incipiente civiltà dei consumi e dove componenti della prima ancora sopravvivevano nonostante il diffondersi rapido della seconda.

Ed ecco che, tra le altre cose, vi si rievocano l’usanza di «invitare, al momento del desinare, una persona povera del paese in omaggio di Colui che era nato povero» e il tempo in cui si soleva «riporre sul davanzale un piatto di succulenta vivanda qualora vi fosse passato “u monacheddhu”, specie di folletto che si credeva si aggirasse per le vie nella notte di Natale». Particolare enfasi viene riservata alle consuetudini culinarie e ai tanti manicaretti che abitualmente si preparavano in questa solenne occasione. A cominciare dalla “copèta”, composta di semi di sesamo, miele e scagliette di mandorle, per proseguire con le zeppole (ciambelle di pasta lievitata e fritte), “murinelle” (gnocchetti fritti a base di farina, acqua, olio, sale e vino), la pignolata, torta composta da tante palline di pasta lievitata e fritte tenute assieme dal miele e decorata. Per finire con «la “pasta chjina” cotta con la brace di sopra e di sotto» che, unitamente al “capretto alla montepaonese”, tanto decantata da una guida turistica del Touring Club di più di un secolo fa.

Mario Pitaro

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