Chiuso, oggi, pare, ripensato, l’ospedale di Chiaravalle, i cittadini della Perla dello Ionio erano tutti contenti, sperando di crescere come Roma con le rovine di Alba Longa; e invece Alba Longa è crollata, e pure Roma pericola, ovvero vogliono chiudere anche l’ospedale di Soverato.
Dove sono finiti i tempi di una volta, o per Giunione… quando c’erano un ospedale a Soverato, uno a Chiaravalle, uno a Serra, uno a Soriano, uno a Pizzo, uno a Vibo, uno a Tropea; ospedale? magari fosse stato solo: ognuno aveva la sua Unità Sanitaria (USL) con presidente, vicepresidente, assessori, consiglio, crisi, rimpasti, pasti, tanti pasti! Poi sono finiti i soldi, e via le USL, divenute ASL, infine ASP senza politicanti, almeno ufficialmente. Gli ospedali… beh, presidi ospedalieri, decisamente troppi, rischiano la chiusura alla calabrese. Che vuol dire, alla calabrese? Che in Calabria si parla una lingua italiana speciale, e il participio “chiuso” si rende con l’italocalabro “potenziato”, con sinonimi tipo “esaltato” eccetera; ma vuol dire chiuso. Se, infatti, un reparto ha bisogno di quattro medici per funzionare e uno va in pensione senza essere sostituito, il reparto è di fatto chiuso anche se lo battezzassero Residenza Personale di Igiea e Panacea e Apollo Medico; sarebbe sempre un reparto di fatto chiuso.
E allora? E allora è ovvio che le battaglie – ammesso qualcuno le combatta – al grido “l’ospedale non si tocca” servono solo alla campagna elettorale di qualche piazzaiolo; se mai, bisognerebbe sedersi attorno a un tavolo – vedete che parlo anch’io italo calabrese? – e ragionare su cosa si possa realisticamente conservare e cosa no. Sappiamo tutti – beh, tutti? – che oggi la chirurgia non si fa più con il bisturi ma con il laser e altre diavolerie facilissime da usare a patto di averle: faccio questo esempio, ma vale per ogni altra specialità medica. Chi pensa ancora di curare con i mezzi degli anni 1950, è uno che vuole conservare il posto, non curare le persone. Le quali persone, siccome oggi internet ce l’hanno tutti, viene a sapere che a Roma, a Milano eccetera ci sono cure moderne, piglia un aereo low cost – vedete che parlo inglese come tutti quelli à la page in francese! – e la sera stessa sono di nuovo a casa senza manco il cerotto.
E allora? Semplicissimo:
– Si fa una specie d’indagine epidemiologica – chiamiamola così – per vedere di quali servizi ambulatoriali abbia necessità ed effettiva utilità il territorio. Se il superraccomandato è specialista (?) in malattie delle regioni artiche della Norvegia, non gli apriremo un reparto a Soverato, e dovrà recarsi a Narvik. Se invece una struttura serve, la si mantenga sotto forma di ambulatorio o altro del genere;
– quello che rimane, dev’essere all’altezza del 2013 quasi 14. Non si discute della bravura o meno dei medici e infermieri, che sono bravi come tutti gli altri; ma di organizzazione e attrezzature, che non lo sono altrettanto.
Qui, ragazzi, delle due è l’una: o è l’opinione pubblica di Soverato e territorio a dire saggiamente la sua, o diranno la loro, e, come il solito, decideranno per telefono a Reggio, Lamezia e Catanzaro.
Ulderico Nisticò