La colpa, ragazzi, è della Scuola (non della riforma Renzi, della Media di Misasi), la quale Scuola insegna ufficialmente e unicamente poeti morti di fame o suicidi, depressi, malati, in lite con la mamma, fisicamente debolucci e morti giovani; e buoni, inoffensivi, sconfitti e pacifici. Non è colpa sua, se Mellea sconosce la storia della cultura nei millenni.
Pacifici e paciosi? Mellea non ha studiato Omero, Archiloco, Tirteo, Alceo, Tucidide, Giulio Cesare, Marco Aurelio, Berntrand de Born, Federico II, Dante, Machiavelli, Guicciardini, Foscolo, d’Annunzio; solo per ricordare alcuni tra i tantissimi che, fra una poesia o prosa e l’altra, si fecero con piacere delle bellissime guerre, o le cantarono. Dante ogni due passi della Commedia ci racconta con orgoglio di quando combatté a Campaldino e a Caprona. Combatté, non faceva il corrispondente dell’Eco di Firenze.
Malati e depressi? Qui l’elenco sarebbe chilometrico, di quanti non solo cantarono gli amori carnali ma ne commisero con entusiasmo, uomini e donne, e perciò dovevano essere all’altezza del compito. Per buona educazione, non faccio nomi, soprattutto delle signore. Aggiungo quelli che avrebbero voluto commetterne come il Petrarca, che, a becco asciutto con Laura, ebbe tuttavia due figli illegittimi.
Malinconici e suicidi? E dove la mettiamo, la commedia e la satira: Aristofane, Lucilio, Orazio, Giovenale, Marziale, l’Ariosto, il Goldoni?
C’è la tragedia, certo, ma è, come insegna Aristotele, “le passioni degli eroi”, non il piagnisteo dei poveri.
La cultura rende onesti e buoni? E no, a parte i guerrafondai di cui sopra, mettiamoci anche François Villon di professione ladro, e non vi dico di De Sade e dei vari poeti maledetti cocainomani.
Insomma, se dalla letteratura togliete le guerre e gli amori sbagliati, resta solo la Vispa Teresa: a parte le versioni goliardiche che vi racconterò in privato. Accenno solo a quella in cui Teresa, in gioventù sempre più vispa, alla fine “soffriva e s’offriva”!
E veniamo al mangia mangia. I poeti, secondo la Scuola Media, si nutrivano di semolino e acqua fresca. E invece da Archiloco ad Alceo ad Orazio è tutto un lodale vini d’Ismaro e Cecubi e Falerni; senza dire dell opere teoriche di Archestrato e Apicio, e che Cassiodoro vendeva pesci.
A questo punto, posso cenare anch’io; ho cenato ieri sera quasi notte a S. Mauro dopo la mia conferenza sui briganti, e ringrazio il sindaco Barbuto; cenerò, si dii favent, domenica a Zagarise dopo altra conferenza. Sono stato preso alla sprovvista, e ringrazio in sindaco Alecci e il consigliere Amoruso, e messo in giuria; ho molto apprezzato e la pasta di Stingi e i quattordici condimenti: in ciò non ho commesso peccato contro i Comandamenti né reati contro il Codice Rocco del 1930. Ho violato la dieta, ma recupero con la zappa.
La pasta, dice Mellea, non è cultura. Eh, Mellea, tu sì che di cultura te ne intendi! Ne ha scritti di libri! O no?
E, caro Mellea, come mai non ti ho visto (parlo solo di ciò che mi riguarda) a Resurrexit, La leggenda di Eutimo, Soverato 1521, Judas? Mai venuto a sentire qualche conferenza della Terza Età, mia o di altri. Mai letto di Mellea un intervento su un argomento culturale qualsiasi. Solo antimafia… e questa volta, per sua dichiarazione, niente cena!
La cultura, in Calabria, ha diversi problemi, tra cui il fatto che alla Regione mettono sempre quello di scarto all’Assessorato; ma certo il più grave, finisco da dove sono partito (si chiama ode ciclica, come quelle di Saffo), è che a Scuola insegnano un’idea lacrimevole e miseranda e ovina e perdente della cultura. Grazie a Dio che non è così.
E Soverato, città in depressione non solo finanziaria e commerciale, ha gran bisogno di botte di allegria.
Ulderico Nisticò il Buongustaio
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