Tacito come fosse teatro

Ecco cosa penso io della versione del Classico.

tiberio “A Tiberio il corpo e le forze ormai venivano meno, non ancora la capacità di dissimulare: uguale era la sua forza d’animo; badando bene a linguaggio e volto, nascondeva con studiata familiarità una debolezza ormai manifesta. Passò frequentemente da un luogo all’altro, infine si fermò nel promontorio di Miseno, in un podere che era stato un tempo di Lucio Lucullo[1]. Fu lì che si prese atto che giungeva alla fine, in tal modo. Aveva un medico eccelso nella sua arte, di nome Caricle, che usava non solo badare alla salute del principe, ma dargli molti consigli. Questi, come si congedasse per sue faccende e gli prendesse la mano con il pretesto di rendergli omaggio, toccò la pulsazione delle vene. Non s’ingannò: infatti, Tiberio, non si sa se offeso e tanto più reprimendo l’ira, ordinò d’imbandire un banchetto, e vi rimase più del solito, come se l’offrisse in onore di un amico che partisse. Caricle tuttavia informò Macrone[2] che veniva meno la vita e non sarebbe durata più di due giorni ancora. Perciò si affrettava ogni cosa con colloqui tra i presenti, e messaggi a legati ed eserciti. Il XVII giorno prima delle Calende di Aprile[3], cessato il respiro, si credette fosse morto; e Caio Cesare[4] si presentava, con grande folla di cortigiani inneggianti, a dare inizio al suo impero, quando all’improvviso dicono che tornavano la voce e lo sguardo a Tiberio, anzi chiamava a portargli del cibo per rimetterlo in forze. E tutti impallidirono, e fuggivano qua e là, e ciascuno si fingeva mesto o ignaro; Cesare, piombato in silenzio dopo così alta speranza, si aspettava la fine. Macrone, senza timore, ordina di soffocare il vecchio gettandogli sopra molte vesti, e uscire dalla stanza. Così finì Tiberio, a settantotto anni di età”.

 Davvero degna di un teatro tragico e grottesco, questa scena di un ferreo tiranno temuto fino e oltre la morte; e di cortigiani vigliacchi e voltagabbana. Tacito fa di Tiberio una sorta di suo eroe grande e cupo, uomo infelice e introverso, onnipotente più per il servilismo dei senatori che per sua volontà. Lo giudica e lo ammira, quasi una figura superumana. La simulazione e dissimulazione di Tiberio gli appare modello delle sottili arti della politica.

 Nato a Roma il 16 novembre del 42 a.C., figlio di Claudio Nerone ma adottato da Augusto, prese il nome di Tiberio Giulio Cesare Augusto. Valoroso condottiero come tutti i Claudi, combatté in Germania e in Pannonia.

 Aveva sposato Giulia, l’unica figlia naturale di Augusto, ma per la pessima condotta di lei si allontanò da Roma per Rodi. Il padre la relegò prima a Ventotene, poi a Reggio[5]; qui morì lo stesso 14 dC di Augusto, e Tacito insinua la facesse uccidere Tiberio.

Ulderico Nisticò

[1] Lucio Licinio Lucullo (117-56 a.C.) fu celebre per la raffinatezza e l’abbondanza dei banchetti; ma, nella vita militare e politica, fu anche il vero vincitore di Mitridate re del Ponto, il grande nemico di Roma.
[2] Quinto Nevio Sutorio Macrone fu prefetto del pretorio; in contrasto con lo stesso Caligola, morì suicida nel 38.
[3] Il 16 marzo del 37.
[4] Caio Giulio Cesare Germanico detto Caligola, figlio del grande condottiero Germanico, regnò tra eccessi e stravaganze finché non venne ucciso nel 41.
[5] Ne abbiamo già parlato, più diffusamente, su Soveratoweb.

 

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