Beh, non proprio alla lettera come Carneade per quell’ignorantone di don Abbondio; di Cassiodoro parlano un poco tutti, e a Squillace c’è il Centro studi Cassiodoro, e a Cassiodoro s’intitola l’Università della Terza Età di Soverato, e usano il nome varie realtà… Però, esclusi i presenti, quasi nessuno ne sa niente di preciso, o se ne dicono luoghi comuni. Si rende dunque utile, chi vuole saperne davvero, venire a Squillace Borgo domenica 14, alle ore 19, per vedere Cassiodoro sotto forma di teatro.
La famiglia di Cassiodoro viveva da generazioni a Scolacio (area archeologica di Roccelletta e vasto territorio intorno): nobili, ricchi proprietari ma non parassitari latifondisti, intelligenti imprenditori, gli Aureli erano attivi funzionari dello Stato, e, in particolare, “correctores” della III regio Lucania et Bruttiorum, le odierne Calabria e Basilicata. Flavio Magno Aurelio Cassiodoro Senatore, tale è il suo nome, fu “corrector”, consigliere di re Teodorico (490-525 dC), poi prefetto del pretorio, primo ministro, dei suoi successori; combatté l’attacco di Giustiniano; venne deportato a Costantinopoli; si ritirò infine tra gli studi nella sua terra, dando vita a due istituti, Vivariense e Castellense. Lasciò molte opere, come diremo.
Non è dunque il solito intellettuale prestato alla politica (una categoria che proprio in Calabria abbiamo visto quanto sia fallimentare al limite del ridicolo), ma il contrario: un uomo politico, quello che i francesi chiamebbero “grand commis d’État”, che, non potendo realizzare il suo progetto, si rende utile in altro modo.
Il pensiero politico di Cassiodoro è una risposta implicita all’angosciosa domanda di s. Agostino, se lo Stato e il potere siano di per sé il male, e si debba contrapporre la Città di Dio a quella degli uomini. Per Cassiodoro, al contrario, è possibile uno Stato che sia forte e giusto, anzi giusto perché forte, e che, con la Fede cristiana e le eterne leggi di Roma, possa assicurare non un formale “ius”, ma una sostanziale e realistica “iustitia”. Le leggi di Roma, “solo sotto le quali si può essere liberi”, e la forza dell’esercito ostrogoto, danno vita a un nuovo Stato, un’Italia allargata, il primo per potenza dei diversi Regni romano-barbarici, capace di tenere testa a Costantinopoli e ai Galli di Clodoveo e unire in una sorta di alleanza occidentale Visigoti, Burgundi, Vandali…
Nel 507 Eutarico, genero di Teodorico, sgomina i Franchi nella grande battaglia di Arles, e riconquista la Provenza; lo stesso Cassiodoro rintuzzerà le minacce dell’Impero d’Oriente.
Le “Variae”, monumentale raccolta di lettere e atti scritti da Cassiodoro o in nome di Teodorico e successori o a nome proprio come prefetto del pretorio, testimoniano un’attività molto intesa sia nella politica estera sia nell’amministrazione della giustizia sia nel rispondere ad istanze di cittadini.
Il punto debole del progetto di Cassiodoro era che gli Ostrogoti, come gli altri Germani erano sì cristiani, ma di confessione ariana, con differenze sostanziali nei confronti del cattolicesimo. Non manca il sospetto che gli oppositori occulti, tra cui Boezio, non fossero tanto preoccupati della divinità o meno di Cristo, quanto dell’intenzione degli Ostrogoti di togliere loro i latifondi! Nel 553, dopo diciotto anni di devastazioni e guerre e saccheggi, l’Impero sterminò gli Ostrogoti nell’ultima battaglia di Gualdo Tadino; ma appena nel 568 non sarà capace di difendere l’Italia dai Longobardi che la divisero per quindici secoli. Cassiodoro aveva visto bene, ma la buona sorte e i tempi non furono con lui.
Il suo pensiero è una teologia della storia che vede l’uomo “modernus” (da modo, ora: la parola è una creazione di Cassiodoro) beneficiare della Rivelazione divina, e dunque poter progredire sulla strada del bene. Non è dunque l’ultimo degli antichi, ma il primo del migliore Medioevo. Lasciò “De anima”, “De musica” e altro.
Non avrà fama. Tutti ricordarono Boezio perché ucciso da Teodorico. Dante ignora Cassiodoro, che, come gran parte della storia medioevale, deve la sua gloria agli studiosi tedeschi e all’edizione nei “Monumenta Germaniae historica”. In Calabria, a parte superficiali bufale giornalistiche come “la prima università d’Europa” e affermazioni improbabili di santità tardiva, non ha la considerazione che merita.
La cultura, infatti, inizia quando diventa popolare, non quando qualche aggobbito studioso scrive un libro per due lettori sbadiglianti. Ci proveremo dunque con il teatro: “Vivariense dei pesci e delle anime”, di e con UN nella parte di se stesso, e Mario Maruca attore e regista nella parte di Cassiodoro; scenografia di Carmela Commodari.
Un avvertimento agli intellettuali: non incontratemi lunedì con la solita uscita “Ma non me lo potevi dire? Lo sai quanto mi piacciono queste cose”; ora lo sapete, e chi non viene, peggio per lui, cui in realtà “queste cose” non piacciono affatto.
Ulderico Nisticò