E io sono vino robusto e antico – sui piani di Ismaro
piantava rametti sottili con mani delicate un vignaio,
ponendovi dritti sostegni, ed intrecciava i racemi,
e con il suo vincastro nodoso teneva lontane le capre;
e cori di fanciulle flessuose e giovani sfacciati a tentarle
per gli inesorabili torchi raccolsero gli acini pieni,
cantando un festoso amebeo ed euoe euoe euoe
al nume che scioglie gli affanni: Lieo lo chiamiamo noi Greci.
E vennero poi le Antesterie odorose, ne bevvero assieme
(Orione in quei giorni declina) per dimenticare l’inverno,
a volte con gocce di miele, a volte, come a Chio, con la resina,
a volte solamente con acqua, tre parti, due parti di vino.
Ma dissero: ‘Un’anfora almeno, di quello più puro, poniamola
in una solitaria cantina, lontano dagli sguardi dei molti,
perché se ne distilli l’umore negli anni, per qualche battaglia,
se mai ritornassero i Medi; per qualche vittoria in Olimpia;
per qualche cerimonia solenne e dedicazione di un’ara;
per qualche banchetto furioso ed orgia di donne invasate;
e quello che serbammo con cento chiavi nelle celle di casa,
ce ne spruzzeremo l’un l’altro all’uso indiscreto dei Traci,
facendo delle coppe una spada, e tingerà il pavimento.”
Così riservarono il vino per molto tempo, segreto,
intorno celebravano feste e matrimoni fecondi
e si eleggevano arconti nell’agorà rumorosa
ed altri ascoltavano i versi dei menzogneri poeti.
Già tutti che furono lieti e bevvero quel vino soave
e corsero a gara lo stadio, e i giochi, e le danze leggere,
e rapidi amori furtivi (di alcuni non sa nulla nessuno
se non chi sorrise con me, e ammicca se mi incontra alle volte,
ed io devo fingere ancora), e amori che cantai a voce piena,
sono ora venerabili vecchi, e nonne le fanciulle di allora,
e gli occhi soffusi di nebbia, che scintillarono amore.
Così accade al vino novello, frizzante, di breve durata:
ma l’anfora umida attende, e il vino nei giorni è migliore.
Ulderico Nisticò