Gioia Tauro e Soriero

porto-gioia-tauro  Notizie dal porto di Gioia Tauro: nel mese di maggio, 422 dipendenti sono in cassa integrazione, una tendenza iniziata con l’anno. Cassa integrazione significa che le cose vanno male, però non si può licenziare per evidenti motivazioni sociali e politiche, e allora quelli che non lavorano vngono addossati allo Stato.

 Ci sono dunque, nel solo mese di maggio, 422 persone che non hanno niente da fare, le cui braccia o menti non sono necessarie, anzi sono superflue. Se prima 422 lavoravano e oggi non lavorano, vuol dire che il volume di traffico di Gioia Tauro è diminuito, anzi crollato. Vuol dire che arrivano e ripartono meno navi, meno merci. Insomma, nel mese di maggio 2015, Gioia Tauro è un cattivo affare.

 Ma come, non ci aveva spiegato in un suo libro Pino Soriero che il porto di Gioia non solo era attivissimo e ricchissimo per la Calabria, e che lo sarebbe stato sempre di più; e che da Gioia Tauro dipendono niente di meno che i porti di Genova e Trieste?

 Ragazzi, il porto di Gioia Tauro non è un porto come lo intendo io, è solo un insieme di gru. Degli sbarcati in questi decenni, credo che nessuno sia mai andato a Gioia a prendere un caffè o ammirare i meravigliosi depositi settecenteschi di olio; o sul Poro a mangiare i formaggi; o a Tropea, Nicotera, Pizzo… Nemmeno sono mai scesi a bere un caffè in una taverna malfamata, perché non ce ne sono; e non c’è una strada tra il porto e la Calabria.

 Oh, sono certo che se Pino si degnerà di rispondermi, mi riempirà di cifre a sostegno della sua tesi, glissando sui 422 in cassa integrazione: e questa è l’ennesima dimostrazione che la matematica forse non è un’opinione, ma i numeri delle statistiche lo sono, eccome; e se uno se li gira a suo piacimento e comodo, dimostra tutto e il contrario!

 Ma perché me la piglio con lui? Beh, per Ravaschieri e Filangieri e altri progetti a me millantati e mai nemmeno iniziati, e uno i sassolini dalle scarpe è meglio se se li leva; e poi perché lo ritengo colpevole di un’altra moda che da qualche anno dilaga nel Sud, ed è un ottimismo completamente infondato, e terribilmente diseducativo, perché sposta il problema verso l’avvenire.

 Già, un poeta comunista francese, tale Aragon, esaltava “les lendemains qui chantent”, l’avvenire che canta; come cantò la cicala, chiedetelo all’Unione Sovietica. L’Unione Sovietica non c’è più e il comunismo nemmanco, ma vizio del progressismo adolescenziale perdura, ed è molto pericoloso per le fantasiose e fragili menti dei Meridionali.

 Ditelo ai 422 in cassa integrazione.

Ulderico Nisticò

 

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