Se c’è una cosa impossibile in Calabria è che qualcuno riconosca i meriti di qualcun altro; e nemmeno gli eventuali demeriti: in Calabria c’è solo “io”. Così, dopo trent’anni che Ulderico Nisticò afferma e studia e dimostra l’esigenza della conurbazione, ogni tanto c’è chi fa credere di averla inventata lui. Ci furono già Mancini e Drosi che dovevano conurbarsi, e finì a convegni strombazzati da stampa simpatizzante: fecero da soli, non chiesero pareri, ed è finita, per dirla con Orazio, in pesce. E Drosi, per sicurezza, pose cartelli con “Satriano” anche in mezzo alle foreste della Lacina, in difesa dei sacri confini della Picocca.
Ora è il turno del sindaco di Torre, Pitaro, il quale, sempre senza citarmi, va invece dicendo che gli è venuta un’ideona originale: conurbare Chiaravalle, Cardinale e Torre. Premesso dunque che io lo dicevo quando Pitaro andava all’asilo, sono d’accordo, e lo incoraggio a proseguire.
Le conurbazioni sono necessarie e utili per le seguenti ragioni:
- non è vero che i Comuni calabresi risalgano ai tempi del re Italo: quasi tutti sono stati istituiti, artatamente, dagli occupanti francesi nel 1807 o nel 1811;
- gli agri comunali, anche questi artatamente disegnati sulla carta da manine interessante, sono assurdamente intrecciati tra loro, il che impedisce ogni seria programmazione;
- i paesi interni tendono a spopolarsi, e mettere assieme le energie è un’ancora di salvezza e sopravvivenza;
- non ci sono controindicazioni nemmeno pratiche: con un computer si fa l’anagrafe e il resto per territori più vasti dell’Impero Romano, altro che da Cardinale a Torre a Chiaravalle;
- come chiamare i nuovi Comuni una volta accorpati? boh, bandiamo un concorso di opinioni, ma, francamente, non è cosa che mi commuova: solo qualche erudito si ricorda di Monteleone, e manco i più tradizionalisti dicono più Nicastro: del resto la Calabria si chiama così per un caso burocratico bizantino dell’VIII secolo più o meno.
Ulderico Nisticò