Secondo alcuni quotidiani calabresi, la Lanzetta l’ha scelta di sua iniziativa Oliverio, e non c’è stata alcuna imposizione di Matteo Renzi; in altri si legge un’intervista alla Lanzetta secondo la quale è stata la medesima Lanzetta a decidere con Matteo Renzi; eccetera. Eh, dov’è andata la nobile arte del darla a bere, inventata da Autolico nonno di Ulisse e da lui insegnata al nipote?
Ma oramai è fatta, e andiamo avanti; e, con una rara botta di ottimismo, posso anche pensare che la dottoressa Lanzetta trovi nell’assessorato quella vocazione che finora non ha colta in pieno in altri ruoli. S’insedia, infatti, assessore a molte cose, tra cui la cultura e la pubblica istruzione. E siccome io di cultura nei ritagli di tempo mi curo, prima o poi avrò a che fare con qualcosa che avrà a che vedere con l’assessorato della Lanzetta. Provo a dire.
Dal 1970 a oggi, l’assessorato culturale calabrotto è stato un bel nulla; cenerentola nella distribuzione dei soldi; e, peggio, in mano a chi della cultura ebbe un’opinione scolastica e politicamente corretta. L’ultimo assessore, il mio amico Caligiuri, è stato bravo nello spendere i quattro soldi che gli davano, però con il metodo della pioggerellina di marzo, cioè una miseria ciascuno. Effetti culturali e sociali quasi zero, memoria lasciata meno che zero.
Ma la Regione in genere ha trovato il modo di scialacquare nove (09) milioni di euro per foraggiare tutte le più inutili e dannose marce e sfilate e lamentele e cene antimafia, facendo dilagare tale denaro presso tutti i ripetitori della stessa favoletta. La mafia è rimasta del tutto indifferente ai ragazzi di Locri e ai vecchietti delle scuole, che tanto dicevano tutti le stesse cose. A parte che ogni tanto qualche illustre antimafia finisce al gabbio come la Laganà, la Canale, la Girasole…
Perciò la prima avvertenza che vorrei sommessamente rivolgere all’assessore Lanzetta è che per cultura non s’intende qualsiasi cosa venga a mente a qualcuno, bensì italiano, latino, greco, storia, filosofia, arte, scienze, matematica, fisica, archeologia, antropologia, sociologia, etnologia, linguistica, dialettologia e roba del genere; e che tutte queste belle cose sono scienze e non parole in libertà e mezzo dialetto. Se dunque uno vuole curarsi, poniamo, di storia, deve essere uno storico e non un infioratore di predicozzi “qui fu la Magna Grecia” senza manco sapere quando e dove. Eccetera.
Seconda avvertenza, importantissima in Calabria e nel Sud in genere: non è che per far cultura bisogna per forza mostrarsi depressi, tristi, emarginati, parasuicidi e piagnoni; e scrivere cose pesanti e illeggibili. La cultura, se è fatta bene, può essere anche popolare, e incoraggiante ed esaltante, e positiva ed educativa.
Per divenire popolare, la cultura si serve, da sempre di tutti gli strumenti tranne il predicozzo suddetto, che annoia e basta; utilizza la poesia, il romanzo, il teatro, il cinema, la musica eccetera.
E parliamo di cinema, che, bene inteso, non dev’essere né una povera farsa come Aspromonte, né un nemico del turismo come Il giudice meschino né greve e dialettale con sottotitoli come Anime nere… e basta, perché altri film recenti non ce ne sono. La Calabria avrebbe diritto, come ogni altra terra del mondo, a film storici, d’avventure, d’amore, comici, drammatici… E girati da registi seri, e scritti, in italiano, da chi lo sa fare. Lo stesso per il teatro.
Il patrimonio archeologico, artistico e storico calabrese non è inferiore a quello di quasi tutta Europa, a parte rare maggiori città; è però ancora poco conosciuto e quasi per niente valorizzato, tanto meno a fini di turismo culturale. O corre rischi come Monasterace e Sibari, per dir solo cose molto note. Ci sarebbe lavoro per tantissimi bravi archeologi e studiosi d’arte.
Si dovrebbe aprire poi un discorso sulla scuola, ma è molto complesso, e lo riassumo così: quali scuole servono alla Calabria? Scuole, non bidellifici e diplomifici assistenziali.
Per ora, basta. Aspettiamo, dall’assessore Lanzetta, segnali di attività, e le rivolgiamo i più speranzosi auguri.
Ulderico Nisticò