Spero che nessuno scambi queste mie righe per “folclore”, invece che, come sperano di essere, uno studio antropologico e di valenza religiosa.
Il tempo di Avvento è preceduto da alcune solennità molto sentite: il 30 di novembre, s. Nicola; l’8, l’Immacolata; il 13, s. Lucia; per giungere a Natale. Si aggiunge una festa piuttosto laica, il Capodanno. Si deve poi celebrare l’Epifania.
Nelle Vigilie delle feste si devono osservare prescrizioni sacre; e, tra queste, il divieto di mangiare di grasso. In etnologia e antropologia si chiamano tabù alimentari, e rappresentano un sacrificio preparatorio in vista della solennità.
Si escludono perciò cibi comunque derivati da animali terrestri: carne, insaccati, grassi; con eccezione dei formaggi, non vietati. Si mangia di magro, cioè cereali, verdure e pesce. Non rispettare tali regole era peccato.
Ecco dunque le “zippuli”, zeppole o crespelle. Sono delle frittelle di farina di grano, ma richiedono un lungo impasto, ore di lievitazione al caldo, e olio abbondante ben caldo. Si possono arricchire con le acciughe salate. C’è chi le fa con le patate. Ci sono anche zeppole zuccherate, ma per me è eresia.
Nelle feste, si mangia di grasso, a piacimento; sono caratteristici i dolci natalizi: pignolata, nacatuli (a forma di naca, culla), sammartini, pittanchiusa, o comunque si chiamino, sono a base di vino cotto, uva passa, fichi… Dolci comprati sono i torroni di Bagnara; o i “mastazzoli” di Soriano dalle forme che ricordano il Presepe.
Siccome il mondo è paese, succedeva che i bambini andassero per le case a chiedere dolci, cantando, tra l’altro, questa canzonetta: “Si mi dati na nacatula, vostra fijjia è na papatula (bambola); si mi dati na sammartina, vostra fijjia è na regina”.
Poi arrivarono panettoni, zamponi e cotechini; e anche nelle Vigilie si mangia come uno gli pare: è quando si perdono le tradizioni che viene meno anche il controllo sociale, e dilaga l’individualismo, anche alimentare. Meditate.
Ulderico Nisticò