Che Soverato sia una città in decadenza, non lo nega ormai nemmeno il più politicamente corretto dei beati ottimisti. E, se vogliamo, e dobbiamo reagire, bisogna conoscere la storia contemporanea della città, a molti ignota, e moltissimi la pensano al contrario del vero. Narriamolo.
La nascita e la crescita della Marina di Soverato si accompagnano allo sviluppo della navigazione di cabotaggio sotto i Borbone e Murat e nuovamente i Borbone, poi lo Stato unitario. Le merci viaggiavano per mare, con bastimenti a vela, poi a motore, che attraccavano al largo. I paesi interni, tutti più popolosi di Soverato ma dalle strutture economiche e sociali arcaiche, venivano a rifornirsi dai “grossisti”, che a loro volta ricevevano legname e altri prodotti di collina e montagna. Nel 1875 si aggiunse al sistema la ferrovia Taranto Reggio. Soverato attrasse l’attenzione di imprenditori calabresi e forestieri, famiglie con un retroterra sociale e culturale e di stile di vita, e con una solida consistenza patrimoniale: Calabrò Caminiti, Ferrigno, Gioffrè, Gregoraci, Guiscardi, Rosso, Scalamandrè, e molti altri dalle Puglie, dal Napoletano, da Amalfi e dalla Sicilia. Con loro, attivi lavoratori del mare e dei mestieri. Nascono attività artigianali di buon livello.
Nel 1881, caso unico tuttora sullo Ionio, la sede comunale viene trasferita in Marina. Nel 1908 inizia, con la presenza dei Salesiani, la funzione di Soverato come centro di studi. Nel 1935 raggiunge Soverato la statale 106, allora un’arteria di grande efficienza. Nel 1937 si apre il Quarzo per lavorare il prodotto di Davoli; chiuso nel dopoguerra per ragioni tuttora poco chiare. Negli anni 1970 si aprono le scuole superiori statali; e, dopo buffe e misteriose traversie, l’ospedale.
Da allora, le cause remote della decadenza. Il territorio abitato cresce all’improvviso per immigrazione dall’interno, ma ciò avviene nella più desolante ignoranza della scienza urbanistica, e quelli che sorgono – 167 o via Amirante, Arenile e Corvo, via Trento e Trieste, Cuturella, Panoramica, Mortara, cioè quattro quinti del tessuto urbano – sono dormitori senza servizi, anzi senza nemmeno spazi per incontrarsi; e popolati, in più casi, da distinti signori del tutto estranei alla vita della città.
Comprare una casa a Soverato parve l’investimento per eccellenza di tutto l’interno e di Catanzaro e altrove. Finché non ci si accorse che con meno spesa e con migliore risultato si poteva costruire al paese una villetta con giardino invece di due costose e costipate stanze nella Perla dello Ionio! Andate a San Vito, a Olivadi, a Cardinale…
Finiva anche la funzione dei grossisti, le cui attività chiusero entro il 1980, dopo infelici tentativi di ristrutturazione. I paese vicini divennero autonomi, spesso superando Soverato per alcune tipologie di commercio: è il caso di Davoli, che, pensate, fino al 1980 era “case sparse”, e se i Davolesi avessero mai sospettato l’esistenza di una cosa chiamata Piano regolatore, a loro ignota, oggi sarebbe una città.
Si aprirono però a Soverato negozi a centinaia, tuttavia raramente di qualità; e con pretesa di prezzi alti. Finite dunque le attività produttive, restavano gli stipendi, oggi palesemente insufficienti.
Si consideri il calo demografico, e, peggio, l’invecchiamento della popolazione. Sarei lieto se qualche illustre sociologo planasse un attimo dalle nuvole dei retorici principi, e ci desse dei numeri credibili.
Ma, direbbe qualcuno, ti sei scordato del turismo. Ragazzi, il turismo c’era a Soverato davvero negli anni 1880, ma non è mai stata e non è un’attività produttiva, e crea pochissimo indotto e posti di lavoro.
In città c’è un solo albergo vero, cioè aperto tutto l’anno e polivalente; gli altri sono camere per l’estate; e il totale dei posti letto, senza entrare nei particolari delle stelle, è inferiore a 400! I forestieri abitano in appartamenti rigorosamente affittati in nero, e che dunque non giovano nemmeno al fisco.
Oppure, i più, non abitano, e “scendono”; e possiamo dire che le sole attività davvero sane siano i locali che attirano di sabato i giovani.
Insomma, un quadro grigio e tendente al fosco. Se vogliamo salvare la città e ricondurla sulla strada del passato, cioè della produttività e del lavoro, bisogna prima di tutto conoscere e riconoscere e ammettere la malattia.
I rimedi? Beh, ragazzi, un argomento per volta. Intanto, fatevi vivi su questo.
Ulderico Nisticò