Lunedì dovrebbe insediarsi il nuovo commissario, e ancora non sappiamo (sono le nove di sabato 18) chi sarà. Mi auguro non ci tocchi un grigio passacarte, ma siamo sulle ginocchia degli dei e della burocrazia. Corre voce che torneremo a votare a primavera.
Votare, per chi e come? Se votassimo oggi stesso, ci troveremmo da due a più liste messe assieme con il criterio con il quale sono state messe assieme le liste che, con manovre interne, hanno fatto cadere i loro stessi sindaci, prima Taverniti poi Alecci. Criteri di “porta voti”, con i risultati evidenti. Ma, i giovani… i giovani, purtroppo, sono figli e nipoti degli adulti e dei vecchi, e, con poche lodevoli eccezioni, sono stati diseducati nei due luoghi principe della diseducazione: la famiglia e la scuola. Lì hanno sentito dire, in famiglia “fatti furbo”; a scuola che un certo Feuerbach affermò “l’uomo è ciò che mangia”, e perciò si dedicano a procurarsi da mangiare.
Votare in queste condizioni significa avere un sindaco a maggio e una crisi ad agosto, che poi, finite le ferie, scoppia come abbiamo visto.
Peggio, il sistema elettorale consente a chiunque di essere sindaco con un voto in più, secondo i parenti e amici e altro.
Peggio del peggio, Soverato è terreno di caccia di Catanzaro, Lamezia, Reggio…
E allora? E allora, torniamo alle definizioni. La politica è la scienza del bene comune. Perciò è un ideale che diventa idea che si concretizza in ideologia e si analizza in un programma, che viene incarnato da persone. In quest’ordine, e non il contrario: non prima vediamo chi è il sindaco e poi perché!
Bisogna dunque che Soverato torni a parlare. Parlare, non sproloquiare di più o meno nobili principi. Chiedersi come mai chiudano i negozi, come mai la popolazione invecchi e i ragazzi che lavorano se ne devono andare… E che fare, per un bilancio che potrebbe essere sanato: e la Rizzo e Alecci hanno già fatto molto. Eccetera.
Parlare. E siccome partiti non ce ne sono (fuori le tessere, se volete smentirmi), resterebbe di incontrarsi e discutere autogestiti.
Proviamo. Io, per partecipare, pongo una condizione: chiunque prenda la parola, abbia a sua disposizione esattamente cinque minuti, 600 secondi e non di più perché 666 è il numero del diavolo. Chi ha da dire, lo dice anche in quattro e tre; è chi non ha niente da dire che blatera un’ora. Chi spreca i minuti per spiegare che bisogna essere brevi, via. Ottimo metodo per liberarsi dagli inutili chiacchieroni di cui il paese, come la Calabria in genere, pullula. Farò io il moderatore con una clessidra in mano.
Ovviamente, sono ammessi al dialogo solo cittadini di Soverato, e lasciando tutti il telefono portatile fuori stanza, a scanso di ordini da Reggio, Lamezia, Catanzaro e roba del genere.
Proviamo?
Ulderico Nisticò