A Ravenna si apre una Settimana dantesca, in onore del poeta che a Ravenna visse, e vi morì. Sarà rappresentata in qualche modo la Calabria; ci sarà una noticina su Dante e la nostra terra? Se ne sapete qualcosa, vi prego, informatemi.
Ma cosa c’entra la Calabria? Beh, non sto certo giocando alla gara paesanotta della vanagloria per qualche accenno: Pitagora (Inf. IV); il pastor di Cosenza (Purg. III); Catona [Crotona?] (Par. VIII); forse le parole “lumera” e “fiumara”: poca cosa.
Dico del “calavrese abate Gioacchino” (Par. XII), non solo perché glorificato anche in nome della sua Calabria; ma soprattutto perché l’intero impianto della Commedia è gioachimita, nella disposizione triadica e trinitaria del Poema; nel simbolismo dell’itinerario dall’età del Padre, la severità dell’Inferno; a quella del Figlio, il perdono del Purgatorio; a quella dello Spirito, l’eternità del Paradiso. Senza dire, come spero sappiano almeno gli insegnanti di italiano, che sono gioachimite molte immagini, attestate del resto dal Liber figurarum.
Si tratta di citazioni che Dante affaccia consapevolmente e con l’intento di comunicare un chiaro messaggio di adesione a una profezia, quella di Gioacchino, che abbraccia non solo il Cielo, ma anche le grandi questioni politiche e sociali dell’umanità terrena. Un terreno ancora non del tutto esplorato.
Insomma, mandare qualcuno a Ravenna non era un’idea del tutto sbagliata. Se ne parlerà la prossima Settimana dantesca, tra qualche decennio.
Ulderico Nisticò