Il triumvirato Sgarbi-Maroni-Franceschini non demorde. Vuole a tutti i costi i Bronzi di Riace a Milano, per l’Expo 2015. E poco importa se gli specialisti – che per lungo tempo hanno avuto in cura i due pazienti greci – hanno più volte diagnosticato che non sono nelle condizioni di poter affrontare un viaggio così lungo, per via d’una grave forma di osteoporosi (indebolimento osseo, tipico delle persone in età molto avanzata) che li affligge da anni.
Lo stato di salute dei celeberrimi guerrieri, dunque, a quanto pare, per il «gruppo dei Tre», non conta. Tanto, chi se ne frega se – durante il percorso – si dovessero (malauguratamente) rompere l’osso del collo?! Quel che più conta, per loro, è una sola cosa: fare bella figura alla «fiera di Rho» e dimostrare ai lumbard che, quando vogliono, anche la montagna può andare da Maometto.
Ma, di grazia, cosa sarebbe successo se l’«ambasciatore Vittorio» (o qualcun altro di comune sentire), al posto dei Bronzi, si fosse azzardato ad avanzare assurde (e sgarbate) pretese nei confronti di altre grandi opere d’arte custodite in Italia? Già. Cosa sarebbe successo se, ad esempio, Sgarbi, Maroni o Franceschini avessero chiesto di trasportare all’Expo 2015 il David di Donatello, la Primavera di Botticelli o il Mosé di Michelangelo? Ad essere «tre volte buoni» – per dirla con Moravia – gli avrebbero, di certo, risposto con una lunga e sonora risata. E allora? Perché, quando si tratta di Calabria, certi personaggi pensano di poter chiedere anche l’inammissibile, rischiando persino di scadere nell’assurdo e nel grottesco più totali? Perché sono convinti, forse, che in questa Terra tutto (e il contrario di tutto) può essere possibile? Ahiloro!
Nell’antica Grecia, ai tempi di Cratere, per una richiesta del genere avrebbero invitato il richiedente – senza pensarci due volte – a sfidare il dileggio della gente, attraversando un affollato quartiere, con una pentola di lenticchie sulle spalle.
Vincenzo Pitaro
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