L’ultimo monaco

Una storia forse realmente accaduta…

Un bosco si sveglia al mattino attraverso lo sguardo di un uomo. I suoni, persino l’aria sembrano svegliarsi da un lungo sonno, forse di secoli. E’ il risveglio di una vita che torna per ricordare luoghi e storie che non sono di un solo uomo, ma di un popolo intero. Quello calabrese.

E’ “L’ultimo monaco”,  il docufilm che sarà proiettato stasera a San Vito sullo Ionio, alle ore 21,30 presso i ruderi del Convento dei Carmelitani. Nel luogo di ambientazione dell’opera in cui  tutto accade per destino, romanzo e storia, un’impalpabile ma viva coscienza, riemersa dalla nebulosa del tempo, cerca quasi con ossessione, di ritrovare sé stessa.

Gli uomini e i secoli l’hanno distorta, sfocata, persa di vista.

Questa coscienza si incarna nella figura di un monaco, l’ultimo solitario uomo che abitò il convento dei Carmelitani a San Vito sullo Ionio, costretto dagli eventi a lasciarlo poi nelle mani inerti dell’abbandono.

“L’ultimo monaco” nasce da un inaspettato ma quasi predestinato impulso creativo, investito forse di una missione non puramente evocativa e di ricostruzione storica, ma di escursione in un passato che chiede di conoscere il presente, servendosi di personaggi e figure che attraversano il tempo e sé stessi, in un viaggio ricco di suggestioni.

Il regista della docufiction è Francesco Brancatella che ha curato lo sviluppo narrativo storico dell’opera attraverso la poesia struggente ma vera di una parte importante della storia calabrese. Il brigantaggio, la povertà, i drammi di un popolo di giovani, ribelle alle sopraffazioni ma che paga con la vita il desiderio di libertà e benessere. L’idea del film come  la sceneggiatura, nelle parti introspettive ed emozionali è stata scritta da Vittoria Camobreco, ispirata dalle vicende storiche e leggendarie di San Vito sullo Ionio.

Questo piccolo borgo delle Preserre catanzaresi, è un grumo di case, grandi e verdi vallate ricche di fiumi, ricordi, rovine ancora vive che raccontano di un passato illustre per cultura, economia e tradizioni.

“L’ultimo monaco” racconta il ritorno, per una strana congiuntura di tempi e di spazi, dell’uomo che visse due vite, una fondata sulla violenza, il sangue, la vendetta, l’amore feroce e cieco; l’altra, il pentimento per tutto il male uscito dalle sue mani e solo in parte attutito dalla scelta monastica che non basta a cancellare il peccato.

Ma questa storia è solo lo strumento, il fil rouge per raccontare il desiderio e il tentativo degli autori di trasmettere un pensiero nuovo, rintracciando nelle pieghe di molti destini antichi, la vera natura dell’animo calabrese.

 Quasi da sempre connotato da un pathos che gli eventi prolungati e costanti della storia hanno incastonato nel codice genetico, questo popolo era di indole pacifica e buona, fino a quando lo hanno voluto gli altri.

Il sentimento, la finezza percettiva del mondo delle cose e del pensiero, è il senso del film dove uomini e luoghi sono il sentiero stesso del tempo che come dice Francesco Brancatella, passa e rimane.

E anche a San Vito il tempo è passato, sì, ed è rimasto, tra le pietre delle case e dei fiumi, nei mulini che sfamavano uomini e frati, tra i monoliti, covi segreti di gente e  serpenti, sotto gli archi silenti e baciati dall’alba sapiente del convento,  dove l’ultimo monaco ritroverà il senso della vita sua e nostra.

Una prima visione, quella di stasera, che altro non è se non il preludio di un progetto più esteso e  già in nuce.

Vittoria Camobreco

loc5

 

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