L’ultima notte di Scolacium, la storia e il vento

Nessuno dei due si può stringere tra le mani. Sfuggono al comando delle nostre intenzioni e dei nostri progetti. Perché si dissolvono nell’aria e volano nelle terre delle cose passate. Ma continuano ad esistere.

Nei luoghi di Nosside spirava e  respira ancora, il vento Zephiro carico di pollini odorosi e di sale del mare. Nei giorni d’inverno si aggrega ai venti più freddi e si confonde con loro, ingannando le direzioni e la mitezza naturale del suo carattere.

Nelle sere d’estate accarezza i sensi.

 La storia di questo vento e il vento di questa storia, non sono dissimili dai giorni e dalle notti di Scolacium, dalle sue stagioni. Nel tempo e nella memoria.

Anche qui soffia da sempre la brezza dalle tante anime, forse una per ogni uomo che amò questo luogo  e forse lo abitò, nei tempi lontani.

Ne” L’ultima notte di Scolacium”, di Francesco Brancatella, nella tensione degli eventi, l’aria di agosto si muoverà leggera, togliendo il disturbo ad ogni passaggio, tra alberi e persone.

Chi racconterà la storia, sa che non potrà fare a meno del vento. La voce, le voci di Ruggero, Adelasia, Boemondo, Morgana, dello stesso Cassiodoro che guiderà il viaggio nel tempo, saranno da lui  riportate in volo, da  quel passato dove sono rimaste per secoli ferme in un angolo sospeso dell’ universo.

Perché  i fatti, i sentimenti, i colori delle gesta, i suoni non si perdono. Attendono soltanto  il ritorno.

E i luoghi, cristallizzati in quei ricordi esangui, riprendono colore, rinverdendo tra le rovine perse, per salutare l’arrivo antico dei volti e delle nuove morti che si ripeteranno. Ma questa volta l’autore de L’ultima notte di Scolacium non ha riprodotto o ricostruito frammenti di storia, solo per rianimare ad esempio, nel volto di  grandi attori, le figure fisse che dormono tra le  pagine dei  libri.

In questo avvincente racconto, la storia non è una proiezione ma un ritrovamento, una scoperta pari ad un valore archeologico, e proprio quella inventata sa restituire le parti più vere di un’epoca, di una cultura intensa e altera come quella medievale della nostra Calabria e anche di parte d’ Europa.

Rivedere il volti chiari di uomini e donne nordiche che il vento freddo spinse fino a qui in cerca di sole, riemergendo ora da quelle origini remote, significherà  ritrovarli in ogni ceruleo sguardo calabrese; e la lingua, le mille lingue che quella notte faranno eco, tempesta di suoni e danza di accenti nelle absidi della basilica, saranno i tanti rami  cresciuti nell’albero  dei nostri dialetti.

La storia e il vento sono indissolubili, come le correnti e il mare, i cielo e l’orizzonte.

 La nostra terra, nel centro del Mediterraneo, è bella e per questo tutti volevano diventarne i re, ma spesso semplici brezze di mare o di collina, si sono trasformate in uragani, lasciando al loro passaggio soltanto cumuli di pietre dimenticate.

“L’ultima notte di Scolacium”, dove il lirismo rende  affascinanti persino la morte, il dolore, il buio, offre ai ruderi limati dai venti parlanti un’altra occasione per ritornare a vivere.

Se persino la fosca Morgana, riuscirà per volere dell’invenzione, a restare, vagando per sempre nei declivi di Scolacium, guardinga e inquieta nell’attesa dell’amore, anche la storia potrà cominciare a riscriversi d’ora in poi. Il vento ne asciugherà e fisserà l’inchiostro.

 Vittoria Camobreco

La_storia_e_il_vento

 

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