Non molto tempo addietro, un ottuagenario psicologo inglese, tale Richard Lynn (senza riuscire ad evitare di essere investito da una fiammata di ridicolo e di grottesco, sublimi ingredienti involontari, a volte non previsti) sentenziò che «al Nord le persone sono più intelligenti di quelle del Sud». Quel suo «studio», ovviamente, non mancò di suscitare ilarità. Non solo perché l’intelligenza non si misura con la bussola (Nord, Sud, Est, Ovest), ma per aver dimostrato di aver perso – egli stesso, con quella sortita – letteralmente la trebisonda.
Difatti, molti personaggi italiani, più o meno noti, presi a campione da questo emerito professor Lynn per il suo studio d’èquipe, altro non erano che «cervelli in fuga» meridionali o figli di meridionali, nati al nord o all’estero.
Il mondo è pieno di eccellenze meridionali che costituiscono, giorno dopo giorno, quello che – con scarsa poesia ma con grande senso pratico – viene da più parti definito il «capitale umano» di una nazione. Dovunque si diriga lo sguardo (in Europa, in Oltreoceano e anche nello stesso nord Italia), fra l’altro, troviamo quasi sempre un calabrese ch’è riuscito ad imporsi, realizzando cose egregie nei vari settori.
Sandra Savaglio, ad esempio – a dispetto della confusione fatta da mister Lynn – è calabresissima. Si tratta di uno dei maggiori astrofisici al mondo; di una scienziata che negli Stati Uniti d’America ha dato lustro all’Italia.
Pensate un po’: già nel 2004, la rivista americana «Time», uno dei più autorevoli rotocalchi del pianeta, trovò modo di dedicarle una copertina per il prestigio da lei conquistato nella scienza, indicandola come simbolo dell’emigrazione degli scienziati italiani negli Usa. Il suo nome, in quella circostanza, divenne subito famoso nel continente americano per aver fatto parte del gruppo di scienziati che, attraverso una ricerca effettuata nelle Hawaii con il telescopio «Gemini», scoprì le origini più antiche della galassia.
Una passione che si direbbe innata per Sandra Savaglio. Già 17enne, infatti, quando ancora frequentava il liceo scientifico «Scorza» di Cosenza, aveva le idee piuttosto chiare. «Da grande», diceva, «mi piacerebbe fare la scienziata, l’astrofisica. Adoro moltissimo scrutare le stelle, le galassie, l’infinito». Poi, nel 1991, ottenuta la laurea in fisica con 110 e lode presso l’Università della Calabria, il suo sogno finalmente divenne realtà, grazie ad un’assunzione con contratto a termine nell’University di Baltimora. Sicché, per forza di cose, dovette dire addio alla sua Morano Marchesato (piccolo centro in provincia di Cosenza), fare i bagagli in quattro e quattr’otto, e trasferirsi in America. Fu proprio lì, in quella terra per lei ancora sconosciuta, che ai suoi programmi di studi si aprirono varchi sempre più impegnativi. Incominciò ad esplorare le galassie, le esplosioni più energetiche che avvengono nell’universo, i lampi gamma, e via dicendo. Poi si occupò del buco nero gigante che si trova al centro del sistema galattico, dei pianeti extrasolari orbitanti attorno alle stelle più vicine al sole, legando peraltro il suo nome ad una prima grande scoperta che riguardò i neutrini solari, importanti per la fisica delle particelle elementari. «Ogni nuova scoperta che si aggiunge», ammette Sandra Savaglio, «è sempre un motivo di gioia, anche se contemporaneamente contribuisce ad aprire nuove voragini di dubbi». Da uno studio all’altro, tuttavia, chi può dirlo?, non è detto che un domani, questa «scienziata della porta accanto», non riesca a svelare definitivamente tutti i misteri che ci circondano, quelli cioè relativi alle origini della vita e dell’universo. I suoi occhi, intanto, brillano più delle stelle che scruta, non tanto quando parla del suo lavoro ma nel momento in cui sente pronunciare il nome della sua terra natia: la Calabria. «La porto sempre nel cuore», dice. E i calabresi ne va vanno orgogliosi. Le menti illuminate, d’altronde, sono come il petrolio per questa Terra. E sarebbe un errore se la Calabria se ne scordasse. Sarebbe come se gli sceicchi si dimenticassero di trivellare il deserto.
© Vincenzo Pitaro
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