No, ragazzi, non sono diventato intellettuale di sinistra di quelli che se partecipassero a un convegno con Stalin in persona lo chiamerebbero Peppuccio per far vedere che sono amici. Giuro che io i due destinatari del mio scritto li ho sempre chiamati Gianni (in alternativa, Giovanni), e Pino, fin da quando…
Fin da quando io, nel 1958, stavo in IV elementare, e, se mal non ricordo, Pino era mio compagno di classe; certo lo erano i cari Pierino Fazzari e Nicola Galeano; maestro, allora unico, Cianflone; direttore, Pascuzzi; capo bidello, il mitico Bruno, che è ancora tra noi. Non so che classe frequentasse Gianni.
Ci portarono in bell’ordine, tutti in grembiulino con i numeri, sulla spiaggia senza ancora il Lungomare; schierati come tanti soldatini. Il sindaco, Antonino Calabretta; il presidente dell’Azienda Turismo, Carlo Curatola; il direttore Pascuzzi ci spiegarono che stavamo partecipando alla piantagione di un vivaio.
Un vivaio, circostanziarono i tre, è un appezzamento dove si piantano alberelli o altre pianticelle, ma non per lasciarceli, bensì perché, giunti a una certa età e altezza, venissero altrove trapiantati. Punto e basta, questo è un vivaio.
Ma siccome in Calabria siamo bravi a fare le cose e non a curarle, il vivaio, abbandonato a se stesso dal 1958 a oggi, vide crescere tutte, ma proprio tutte le pianticelle che, con la nostra presenza, Gianni e Pino e Piero e Nicola e tanti altri e io avevamo messo a dimora: e via alberi storti, alberi pietosamente in cerca di aria e luce e fotosintesi clorofilliana; alberi in scarsa salute, in quanto troppi per terra di riporto e povera.
Io l’ho scritto e detto in tempi remoti e non sospetti, e posso produrre qualificati testimoni, che un albero su tre va non tagliato ma estirpato; e ciò non sarebbe contro la natura, ma secondo la natura. A parte che quegli alberi non sono certo secondo natura: li abbiamo piantati noi, anche Gianni e Pino.
Ulderico Nisticò