Gli scrittori calabresi non letti se la prendono, loro o chi per loro, con l’arbitro; con la scuola; con le stelle come don Ferrante… con tutti tranne che con loro stessi. Guardate, io ho provato a leggere qualcosa di qualcuno, desistendo quasi subito per evidente carenza di motivazioni letterarie.
E quali sono le motivazioni letterarie? Beh, da quando esiste la letteratura sotto infinite forme di poema, poesia, racconto, teatro eccetera, le motivazioni letterarie sono solo le motivazioni letterarie, cioè la forma. Il contenuto, il mito contenuto tanto caro ai professori… beh, leggete La fonte di Bandusia di Orazio, ode a contenuto zero, che non dice assolutamente niente, non manda nessunissimo “messaggio sociale” a nessuno, ma è un gioiello dell’arte della parola; e “flagrantis atrox hora Caniculae” vi fa sentire il caldo dell’estate peggio che stare davvero in campagna nel meriggio d’agosto.
Questa è letteratura; il resto è sociologia, filosofia, religione, storia eccetera; tutte cose importantissime, per sapere le quali però uno legge un libro di storia, di teologia, di sociologia; non un romanzo o un poema. Francamente il coro manzoniano della morte di Ermengarda mi illumina pochissimo sulla politica carolingia e papale nei confronti dell’Italia longobarda del 774: ma ci sono momenti di altissima poesia. E anche quando il Leopardi afferma che la pecora non ricorda il passato e non teme l’avvenire, si vede benissimo che non ha mai allevato un animale: però è un profondo momento esistenzialistico … Mi fruttò un nove al tema della maturità, quando prendere sei era un miracolo; ma io, che avevo allevato gatti e cani, sapevo benissimo di mentire parafrasando Giacomo.
A proposito, anche il Pascoli, spero per lui, sapeva che la terra è rotonda; ma con la terra rotonda non ci si esalta per Alèxandros ai confini del mondo. Lo sapeva anche Alessandro Magno, barbaro coltissimo.
Torniamo dunque ai nostri scrittori ufficiali. Essi, sia pure a modo loro, parlano della Calabria; vorrebbero, magari, il solito “riscatto” della Calabria; piangono l’emigrazione; eccetera: ma siamo proprio sicuri che le loro Ermengarde, i loro Alessandri e i loro pastori erranti restino nel cuore del lettore, e che io possa tenere a mente un rigo di Strati o La Cava come subito, nel 1966, imparai a memoria la fonte suddetta di Orazio, e me la ripeto di tanto in tanto; o un canto di Dante? So anche le poesie di mastro Bruno, perché sono scritte con spiritaccio serrese.
Già, i nostri scrittori sono anche molto tristi… no, che molto? Sono solo tristi, malinconici, piagnoni, obbligatoriamente pessimisti, buonisti senza un filo di ironia, e figuratevi di autoironia; e niente tragicità, solo lacrimatoio.
Peggio, sono ideologizzati: i poveri sono buoni, i ricchi sono cattivi, il che è notoriamente falso l’uno e l’altro e viceversa; dipingono macchiette, non esseri umani. Dalla loro penna non può uscire un principe di Salina; e mai arriveranno a capire che mastro don Gesualdo può crepare lo stesso disperato avendo un mare di soldi e non so quanti ettari di produttivo terreno.
Di conseguenza, un romanzo di scrittori calabresi ufficiali è prevedibile fin dalla prima pagina; come se un giallo iniziasse con la condanna a morte dell’assassino. Vediamo chi lo compra?
Ma Tizio o Caio sono stati premiati… eh, ragazzi, i premi letterari in mano alle case editrici, ai partiti…
Insomma, la Calabria ha le sue colpe; ma ne hanno anche, e tante, i non letti scrittori calabresi ufficiali.
Ulderico Nisticò