Ho conosciuto Giancarlo Giusti (ex gip di Palmi morto suicida questa mattina) a gennaio quando lo contattai tramite il suo avvocato, Vincenzo Femia, per una intervista. Mi ero interessato alla sua vicenda leggendo i suoi diari apparsi sui giornali dopo il suo arresto nel novembre del 2011. Mi aveva colpito lo stile asciutto, diretto, una ottima prosa, vibrante. Mi ero domandato, leggendo le cronache dei suoi processi e delle sue condanne, come una persona cosi intelligente avesse potuto accettare la compagnia di tale Giulio Lampada, che al momento dei rapporti con Giusti, forse non era proprio identificato come ndranghentista, ma era pur sempre un imprenditore delle slot machine., non proprio uno dei settori più cristallinei. Mi colpirono molto il delirio di onnipotenza che traspariva da quegli scritti , ma anche, la disperazione uniti a una spregiudicatezza che lasciava senza parole. Un magistrato che mette nero su bianco affari, società, accordi con signori poco limpidi come Giulio Lampada era qualcosa che ai miei occhi era totalmente incomprensibile.
Proprio in quei giorni di gennaio quando iniziavamo a sentirci, avevo perso mio padre, e lui mi chiamo credo il giorno dopo che questo tragico fatto accadde, e con molta semplicità mi disse “signor Davi pregherò per lei, mi permetta” trovando le parole tutt’altro che invasive per starmi vicino.
Ero vulnerabile, come tutti coloro i quali vivono purtroppo quei terribili momenti. E pur mantenendo la lucidità del cronista, apprezzai la delicatezza con cui lui seppe trovare l’approccio giusto.
Continuammo a frequentarci via whatsapp o telefono per concordare i termini dell’intervista da realizzare. Mi mandò tutti gli incartamenti, tremila pagine di intercettazioni e verbali. Voleva che leggessi tutto per essere più cattivo nel formulare le domande. Io non lo feci. Lessi una parte, e mi convinsi intimamente che Giusti fosse un uomo con due personalità. Una retta, lineare, sensibile e diretta e una per cosi dire dark, dentro la quale si celavano azioni che erano molto molto discutibili per una persona nel suo delicatissimo ruolo. Però non mi convinsi mai che fosse un mafioso.
L’intervista avvenne via Skype. Non potevo andare fino in Calabria! Il mio è un programma web autofinanziato a budget zero! Montammo il collegamento e feci le domande. Un’ora senza nessuna autocensura e nessun intervento del legale.
Né lui né l avvocato fecero alcuna modifica , pretesero alcun taglio, ne censurarono alcuna domanda. Una assoluta rarità per chi conosce la delicatezza di questi processi e soprattutto gli avvocati che si occupano di mafia e di ndrangheta.
Giusti sapeva che si giocava tutto con la sentenza di Cassazione, che sarebbe arrivata implacabile il fatidico 4 marzo. Pertanto, sapeva che non serviva a nulla mentire o celarsi, tanto valeva affrontare le domande a muso duro e chiarire una volta per tutte la dove possibile.
L’intervista usci integralmente e senza tagli. L’unica richiesta dei legali era di pubblicarla non troppo a ridosso della sentenza di Cassazione. Una volta messa on line, l’intervista passò in silenzio, perche la vicenda non interessava piu a nessuno ormai. Erano trascorsi anni. E sappiamo tutti come funziona nei giornali….
Però tra noi nacque un dialogo – sempre mediato dalla tecnologia – che non si esaurì con la puntata su di lui. Giusti sperava fino all’ultimo di riuscire a dimostrare che lui non era né corrotto né mafioso. E voleva convincermi. Detto questo mai – almeno con il sottoscritto – azzardò una critica della procura di Milano che lo aveva fatto condannare. “Sto al giocò mi ripeteva. Fino in fondo. Poi arrivo la condanna di Cassazione e li cambiò umore. Si rabbuiò, consapevole che dopo un simile macigno (parole sue) difficilmente avrebbe potuto rialzare la testa. Era assalito dall’idea che non avrebbe mai più potuto trovare un lavoro. “Chi si prende un mafioso?”, ripeteva. Come potrò pensare ai miei figli a loro mantenimento? Pensava che una volta persa la reputazione, non ci fosse più nulla da fare.
Ma manteneva comunque una lucidità. Mi dava dritte sulla mentalità calabrese, accorgimenti da adottare nel tentare di intervistare i boss , indicazioni su come maneggiare un tema che lui conosceva bene essendo stato tanti anni magistrato responsabile del sequestro dei beni ai mafiosi.
Dialogai fino a sabato sera con lui. Poche ore prima che venisse trovato morto con la corda al collo nella sua casa a Montepaone. Pur avendo tentato il suicidio per due volte, mi ero convinto – sbagliando – che non l avrebbe fatto una terza. Per quanto si possa essere attenti, e difficile captare le intenzioni di una persona che si conosce solo a distanza e comunque superficialmente.
Ricordo come attese la sentenza di Cassazione la sera del 4 marzo. Mi pregò di non chiamarlo qualora avessi visto un flash d’agenzia in nottata. “Preferisco che la notizia mi arrivi tramite i legali io sarò con i miei familiari che vigileranno su di me.”
Mantenni l’impegno e il mattino dopo seppi della ennesima condanna. Per Giusti era troppo “non reggo” mi aveva scritto “non ce la faccio”. Purtroppo, non c’è stato verso di fargli cambiare idea. (Klaus Davi – L’Huffington Post)