Sempre più spesso capita di dover affrontare, anche in famiglia, il sopraggiungere di gravi ed a volte mortali malattie, ma cosa succede quando la malattia mortale colpisce entrambi i genitori, e due giovani figli vengono messi di fronte ad una delle più strazianti scelte che possa ricadere su un figlio? Una scelta che fa sentire paradossalmente impotenti, poiché qualsiasi essa sia, segnerà una condanna per tutti.
Dopo la felice esperienza di Prima di andar via, Filippo Gili, drammaturgo, e Francesco Frangipane, regista, continuano un intenso percorso drammaturgico e teatrale con un nuovo progetto. Una seconda tappa in cui si vogliono affrontare le stesse tematiche, ovvero la vita e la morte, il destino e il libero arbitrio, partendo da uno stesso contesto,
la famiglia, ma addentrandosi per sentieri fin qui inesplorati.
In Dall’alto di una fredda torre l’attenzione si sposta sull’angoscioso dilemma se sia giusto o no incidere sul destino degli altri, se sia lecito sostituirsi al fato, ponendo i protagonisti di fronte alla facoltà/responsabilità di dover decidere se far Vivere o far Morire un uomo, facendosi carico di tutta la questione morale e sociale che ne consegue.
Anche in questo caso quindi si affrontano grandi temi universali, focalizzandoli in un contesto più piccolo, la famiglia, un microcosmo che permette, proprio grazie alla riconoscibilità di situazioni familiari quotidiane, di predisporre il pubblico ad un meccanismo automatico d’immedesimazione e di catarsi.
Un allestimento che accompagna lo spettatore per mano dentro la storia stessa e lo induce a condividere le emozioni dei personaggi, tanto da farsi carico delle domande e dei dilemmi che travolgono i protagonisti.