Lo studio del linguaggio cinematografico è stato affrontato nel tempo da varie teoriche che partendo dal presupposto del cinema come arte, tendevamo a individuare leggi di funzionamento estetico sulla base della conoscenza di tutti i principali film della storia del cinema. Sulla scia degli studi sulla comunicazione ed il linguaggio alla fase teorica è seguita negli Anni ’60 una disciplina, la semiotica filmica. Partiamo da questa premessa: i teorici del cinema hanno preso in prestito dalla linguistica gli elementi necessari per dare uno statuto scientifico e un rigore metodologico al linguaggio cinematografico e alle loro analisi interpretative dei film. Proviamo ora a invertire il procedimento: gli strumenti specifici e non specifici che sono del linguaggio cinematografico potrebbero essere utilizzati a loro volta per l’analisi interpretativa di componimenti letterari o poetici?
La linguistica e gli studi sulla comunicazione hanno fornito ai teorici e agli studiosi del cinema gli strumenti per l’analisi testuale dei film. Categorie come codici, segni, struttura, linguaggio, significante, significato, materia dell’espressione, connotazione ecc. sono stati utilizzati in sistema per l’interpretazione e l’analisi dei film. Perché non tentare un procedimento inverso? Cioè utilizzare gli strumenti semilogici prettamente cinematografici come strumenti di analisi testuale, per esempio, di un componimento poetico tout court come “San Martino” (1883) di G. Carducci
(La nebbia a gl’irti colli piovigginando sale, ecc.)
Il linguaggio cinematografico utilizza una serie di codici per la formazione di un film, un insieme di regole astratte e generali: ci sono codici specifici tipici ed esclusivi del linguaggio cinematografico, codici non specifici (recuperati dal cinema), codici figurativi, codici narrativi, codici recitativi e così via. Si può tracciare attraverso queste categorie ora divenute specifiche e attraverso quelle non specifiche del linguaggio cinematografico una lettura innovativa e assolutamente originale del testo poetico in esame? Se sì e se tale procedimento dovesse funzionare, ci accorgeremmo allora come un’innocua “odicina” anacreontica in 4 quartine composta entro le 3 del pomeriggio dell’8 dicembre 1883, quale fu appunto “San Martino”, contenga una trama, una tessitura, un ordito che prelude idealmente con dodici anni di anticipo alla nascita del cinema (1895) ma soprattutto con oltre mezzo secolo (anni ’60) a quella che sarà la piena consapevolezza del cinema come linguaggio. Infatti la poesia, alla luce della nostra ipotesi, risulterebbe avere l’aspetto lirico sì ma di una sceneggiatura con tutti i crismi e i ”tratti pertinenti” di uno script per il cinema. Infine, portando alle estreme conseguenze (ma proprio estreme estreme!) questa riflessione, vuoi vedere che Giosuè Carducci a sua insaputa stava scrivendo nel 1883 qualcosa che ancora non c’era, cioè una poesia che sottosotto aveva e ha tutta l’aria di essere un cortometraggio per il cinema? E cosa dire poi di “Traversando la Maremma Toscana” (1885) sempre del Carducci che è totalmente fondata sul codice più specifico, che più specifico non si può, del linguaggio cinematografico? Il travelling.
Maurizio Paparazzo