Ho conosciuto per caso mons. Jaroslaw Cielecki (noto come padre Jarek) e nel corso di alcuni brevi incontri ho potuto ricostruire un po’ per volta la personalità di quest’uomo che scopro per prima cosa essere direttore e fondatore di Vatican Service News, poi giornalista spesso al seguito di Giovanni Paolo II nei numerosi viaggi in giro per il mondo e, infine, regista di documentari e di film. Mi faccio coraggio e gli chiedo una copia dell’ultimo suo film come regista e sceneggiatore “Curato don Wojtyla a Niegowić” che racconta l’anno di vita di don Karol nella cittadina polacca di Niegowić, vicino Cracovia, dove il futuro Pontefice e Santo venne inviato come viceparroco al suo primo incarico per circa un anno, dal luglio del 1948 all’agosto del 1949. Mons. Jaroslaw (padre Jarek) mi dice subito di sì e ricevo in dono una copia del suo film con l’impegno da parte mia di scriverne qualcosa. La vita di don Karol in quell’anno di vicariato viene narrata attraverso i ricordi di Leucadia (Eleonora Mardosz), donna di 87 anni che fu la sua domestica nella parrocchia di Niegowić. Già la testimonianza di quest’anziana donna che conobbe di persona il futuro Papa quando era ancora viceparroco è di per sé motivo di grande interesse del film. Attraverso un lungo flashback assistiamo, grazie alle memorie della donna, ad aneddoti di vita quotidiana che tratteggiano il profilo del giovane viceparroco magistralmente interpretato dall’attore Carol Dudek. Affascinante e convincente è l’interpretazione del giovane attore nei panni di don Karol Wojtyla. Restiamo ammirati per l’intensità con cui egli sa rendere la religiosità, la spiritualità e la convinzione nell’esercizio del suo ministero. Ci aspetteremmo di vedere da un momento all’altro nei gesti del giovane viceparroco un preludio di quello che sarebbe diventato, cioè il Santo Padre amato da tutti. E invece no. Il regista padre Jarek non è caduto nel tranello dell’ovvietà. Non vi è nulla infatti di “sensazionale” nell’agire quotidiano di don Karol ma solo quello che veramente conta: l’umiltà, la semplicità e la vicinanza ai suoi parrocchiani. Il tutto sostenuto da una devozione, questa sì grandiosa, verso la Madonna. Quasi a voler dire che i disegni del Cielo si affidano più all’agire semplice e sincero che alle opere eclatanti e spettacolari. Un altro aspetto del film che ci sorprende è la scelta strutturale della narrazione come si diceva basata su un lungo flashback. I ricordi della domestica sono visualizzati a colori mentre il presente di lei che racconta è in bianco e nero. La scelta del bianco e nero del presente di fatto enfatizza il senso del ricordo a colori che resta ancora fervido e impresso nella memoria come se la donna volesse riviverlo ancora. E’ dunque quello di don Karol un operato che attraverso il colore dei ricordi e a distanza di tanti anni rimane pur sempre vivo, luminoso e indimenticabile. Il racconto dell’anziana donna (che scopriamo essersi votata alla castità) comincia dal momento in cui il viceparroco prende la corriera che lo porterà a destinazione. Così parallelamente alla descrizione dei luoghi e dei vari incontri con uomini e donne della parrocchia, emergono particolari importanti della vita di don Karol: per prima cosa, secondo la testimonianza della donna, egli “non ha mai conosciuto sua madre”. L’anziana rivela che il viceparroco parlava con la Madonna come se fosse la sua mamma. Durante la guerra il futuro Pontefice lavorava nelle cave. Scopriamo la sua passione per il teatro, per il Barocco e il Rinascimento artistico italiano. Dettagli importanti della sua vita privata che si alternano alla chiarezza con cui porge ai ragazzi la dottrina cristiana nelle ore di religione e il suo fervente amore per il prossimo. Durante la Via Crucis racconta della sua visita a Padre Pio. Don Karol gli aveva chiesto quale delle sue stimmate e ferite gli facesse più male e Padre Pio gli aveva risposto: “Mi fa male di più quella ferita che aveva Gesù sulle proprie spalle quando portava la croce”. Ciascuno di noi incontra nella propria vita qualcuno che l’aiuta a portare la propria croce: questo è il commento di don Karol durante la Via Crucis. Alla fine della celebrazione di un matrimonio rassicura gli sposi di essere sempre disponibile ad incontrarli anche se “dovesse diventare Santo Padre, cosa che non avverrà mai”, aggiunge egli con la consueta e disarmante semplicità. E invece lo divenne. E poi l’episodio delle galline che vede don Karol inseguire i pennuti scappati a una contadina, oppure la generosità del gesto del cuscino regalato a una famiglia che aveva subito l’incendio della casa, le sue sommesse e toccanti parole al confessionale, il danaro che lascia in casa al capofamiglia per l’acquisto del maiale: insomma, conosciamo aspetti della sua vita giovanile davvero coinvolgenti e umani. Ma semplici. Tornerà don Karol a Niegowić dopo che sarà consacrato Vescovo. Degne di nota sono le località vere dove è stato ambientato il film, la scena commovente del bacio della terra, i costumi usati molti dei quali furono i paramenti veri che don Karol indossò durante le funzioni religiose e alcune soluzioni di montaggio come il raccordo della scena del sole al tramonto con quella del lume dello scrittoio del viceparroco. E non ultima, la bravura del regista nel saper fare uso della sua formazione documentaristica non sacrificando l’immaginazione. Non sarebbe male poter organizzare una proiezione in pubblico del film e invitare per l’occasione il regista, padre Jarek.
Maurizio Paparazzo