Torna a vibrare l’inno di Luigi Rossi

Riproposta da Rai Premiun, in due puntate, la serie tv “Luisa Sanfelice” dei fratelli Taviani

Tornano a riecheggiare, a beneficio del grosso pubblico, le note patriottiche dell’Inno della Repubblica napoletana del 1799. Che Domenico Cimarosa tradusse in musica e che il calabrese di Montepaone, Luigi Rossi, martire di quell’effimera esperienza giacobina di più di duecento anni fa, compose. L’occasione è la riedizione della fiction Luisa Sanfelice, dei fratelli Taviani, con Laetitia Casta e Adriano Giannini, che Rai Premium,  manderà in onda, venerdì e sabato prossimi, in occasione del 215esimo anniversario della rivoluzione partenopea.

Rossi, «bellissimo nel viso, occhi scintillanti, ampia fronte, nudo il collo» come lo vide lo storico Mariano d’Ayala da un ritratto a olio, era nato a Montepaone, nell’allora Calabria Ultra, il 20 gennaio 1769. Nel seminario di Catanzaro ebbe come insegnante di matematica e filosofia quel Gregorio Aracri, abate e massone, che gli infuse il fuoco del libertarismo e al tempo stesso lo iniziò ai misteri della libera muratoria. Passato in Napoli fu dottore in «utroque iure» e aprì uno studio legale.

Luigi Rossi

Luigi Rossi

L’inno, o meglio, gli inni patriottici, che più di duecento anni fa vennero adottati dalla Repubblica napoletana nel corso della sua breve esistenza, furono musicati dal celebre maestro napoletano Cimarosa. Il che, a restaurazione avvenuta, gli costò l’esilio perpetuo a Venezia essendo riuscito a sottrarsi alla forca. Non altrettanto fortunato fu l’esecutore della parte letteraria, il calabrese Luigi Rossi, il quale, per essere stato «l’autore della Marsigliese napoletana» e per aver preso parte attiva alle vicende rivoluzionarie finì la sua breve vita al patibolo in piazza Mercato a Napoli.

Ma più che la toga, lo allettarono la passione poetica e l’impegno politico supportato dalle dottrine illuministiche provenienti da Oltralpe. Poco più che ventenne fu membro della Società patriottica e, quando questa nel 1794 si sciolse, aderì al club giacobino «Libertà o morte». Fondò e gestì infine una loggia massonica nel suo paese natio, nel rione Cittadella. Qui, secondo quanto riferirà in seguito l’arciprete sanfedista Gian Vincenzo della Cananea, «questo Luigi Rossi insegnava ai giovani nefande dottrine ultramontane in una misteriosa casa che tra loro chiamavano Sala di Zaleuco».

Della Repubblica fu uno dei più accesi sostenitori e ricoprì la carica di componente della Commissione legislativa. Ma soprattutto ne fu il bardo dando vita a inni e canzonette di ispirazione patriottica. Delle tante vanno ricordati, appunto, L’inno patriottico e I dritti dell’uomo che abbiamo sentito intonare dal coro rivoluzionario nello sceneggiato dei fratelli Taviani dedicato alla Sanfelice.

Furono Benedetto Croce e Mariano D’Ayala a riesumare il testo adattato a un altro motivo. E perciò si rifiutarono fermamente di consegnarlo alle stampe «perché siamo stati sempre convinti che quella musica, su parole reazionarie, non ha nulla a che fare con l’Inno patriottico del ‘99». Ispirati dal notevole lavoro di ricerca dei due storici che lo scrittore Enzo Striano ha, diciamo così, cercato di rimediare a quella che fin allora era una marchiana lacuna storica, nel suo Il resto di niente. Non sempre tuttavia la storiografia, la memorialistica,  la stessa narrativa hanno reso giustizia su chi fosse il vero autore della «Marsigliese napoletana». Complice nientemeno che Alessandro Dumas che nel suo pur impagabile romanzo Luisa Sanfelice, da cui il lavoro televisivo dei Taviani è stato tratto, attribuisce la paternità di quei versi a un improbabile Vincenzo Monti. Segnatamente il grande romanziere francese, nel suo romanzo, rende partecipe ai moti giacobini del ’99 quello che Ugo Foscolo definì con scherno «traduttore de’ traduttor d’Omero» e lo presenta come «l’autore della Marsigliese napoletana, musicata da Cimarosa». Incorrendo in un doppio errore: sia perché Monti non ebbe alcun rapporto con la repubblica partenopea; sia perché le uniche canzonette patriottiche che il maestro tradusse in note furono quelle di Rossi.

Spartito dell’inno musicato da Domenico Cimarosa

Spartito dell’inno musicato da Domenico Cimarosa

Qui Luigi Rossi è descritto come «il ragazzo che vuol fare il poeta», e più avanti immagina così l’incontro fra il giovane patriota, Cimarosa e la Pimentel: «Più tardi vengono Luigi Rossi…”V’abbiamo portato l’inno della Repubblica” sorride Rossi, porgendole un foglietto. “Il cittadino Cimarosa ha scritto una musica bellissima. Domani verrà eseguito al largo del castello: volete darne notizia?” Ne sarò felice”. Legge alcune strofe: Su d’un sovrano popolo / sovrano più non v’è / Al foco indegne immagini / itene ormai dei re…». E l’altra, la Pimentel: «Ah sì. Chiarissimo. Per il popolo, per i lazzari, per Pulcinella. Ripone l’inno nella cartellina rossa».

Pubblicato sul Monitore napoletano, l’autorevole foglio diretto da Eleonora Fonseca Pimentel, l’Inno patriottico fu riprodotto in migliaia di fogli volanti e cantato dai rivoluzionari, il 19 maggio in piazza Plebiscito, alla festa del «bruciamento delle bandiere borboniche» allorché fu piantato l’albero della libertà. Con quelle note sussurrate a fior di labbra «il fior fiore intellettuale e morale della nazione», come scrisse Benedetto Croce, salì il patibolo per quello che non a torto viene considerato il primo forte, ancorché debole, impulso al processo risorgimentale.

Francesco Pitaro

 

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