Pausa pranzo, come ogni giorno apro il pc e faccio il mio giro quotidiano su facebook. Scorro la homepage, e mi rendo conto che questa è stracolma delle emozioni di decine di ragazze nei confronti di Fabiana Liuzzi. Fabiana è una giovane 16enne che ha conosciuto la morte troppo presto e nel modo più spregevole possibile, subendo una violenza sessuale. Tra i tanti post, uno ha destato particolarmente la mia attenzione: Francesca Chaoqui, trentenne di origine calabrese, direttore delle relazioni esterne di una multinazionale che, con superficialità e genericità affronta la problematica della violenza femminile inviando una lettera al Corriere (leggi la lettera). Nella lettera si legge (questo è il pensiero della sig.ra Francesca Chaouqui): “Fabiana è cresciuta come tutte noi, sentendosi dire «cittu ca tu si filmmina, non su così pi tia», fai silenzio, sei una donna non sono cose per te”.
Francesca Chaouqui, partendo da uno spiacevole avvenimento, si permette di fare una descrizione offensiva, discriminatoria e per nulla vicino alla realtà del popolo calabrese. Premettendo che ho da sempre odiato qualsiasi tipo di generalizzazione, quando queste sono cattive e creano un pregiudizio nei confronti di qualsiasi classe, gruppo politico, allora non le tollero proprio.
Non mi va di replicare alle infamanti affermazioni, probabilmente sarebbe troppo facile, ma di certo il dubbio che Francesca abbia mai vissuto in Calabria o che abbia mai conosciuto un uomo calabrese mi è sorto. Il dubbio è che le affermazioni fatte e riportate si aggiungono a una cattiva pubblicità, che molto spesso viene fatta del popolo meridionale.
Credo che sia scandaloso che ancora ci sia gente che crede che nel sud Italia vivano persone preistoriche, persone che ancora credono che l’onore di una donna derivi dal suo essere o no vergine, che credono che la donna deve vivere in casa e svolgere unicamente i lavori domestici, ma quello che ancora di più mi sconcerta è come un giornale di tiratura nazionale decida di pubblicare una lettera così offensiva nei confronti di una regione italiana.
Le donne calabresi sono donne volonterose, impegnate e determinate, che occupano – anche nella loro terra – posti prestigiosi (basta fare un giro nei tribunali, negli studi legali, negli ospedali e nelle scuole regionali per rendersene conto).
Il problema della violenza e della discriminazione femminile, ahimè, non è un problema geograficamente circoscritto, magari lo fosse, ma tocca tutto il mondo.
Di certo, la mia volontà non è quella di andare a negare o a nascondere dei problemi sociali, organizzativi e lavorativi che esistono nella mia regione ma, e credo di parlare per la maggior parte dei calabresi, ci siamo stancati di essere sempre descritti tutti come dei preistorici o dei mafiosi.
Per questo credo che siano necessarie delle scuse pubbliche dalla Sig. Francesca Chaoqui e da chi ha deciso la pubblicazione della lettera incriminata. “Scusa” per tutti i nostri uomini calabresi che sono stati descritti come dei violenti padri padroni, “Scusa” per tutti i nostri padri, fidanzati e amici che ci hanno da sempre trasmesso l’amore e il rispetto delle donne e infine “Scusa” per noi donne, che ancora una volta veniamo viste come incapaci di ribellione e di senso critico.
Cordiali saluti
Di Francesca Masucci