Il 5 febbraio 1783 iniziò in Calabria uno dei periodi sismici tra i più lunghi e disastrosi che siano mai avvenuti nella storia sismica del nostro paese. Tra il 5 febbraio e il 28 marzo si verificarono 5 scosse fortissime (5 febbraio, 6 febbraio, 7 febbraio, 1 marzo e 28 marzo 1783) e diverse centinaia di scosse minori, i cui effetti complessivi furono devastanti sulla maggior parte del territorio calabrese e in Sicilia nord-orientale. Le scosse più violente colpirono dapprima (5 e 6 febbraio) la Calabria meridionale, investendo tutta l’area dell’Aspromonte e dello Stretto di Messina, poi (7 febbraio, 1 e 28 marzo) la Stretta di Catanzaro, cioè l’area compresa tra il golfo di Sant’Eufemia e il golfo di Squillace.
Le notizie dei primi 3 terremoti e delle enormi distruzioni da essi arrecate impiegarono circa dieci giorni per arrivare a Napoli, capitale dell’omonimo Regno di cui la Calabria all’epoca faceva parte. Il re di Napoli, Ferdinando IV di Borbone, decise di intervenire celermente nominando Vicario generale delle Calabrie il conte Francesco Pignatelli, con l’incarico di organizzare i primi soccorsi e seguire la lunga fase della ricostruzione.
La gravità del disastro ebbe un impatto enorme sia sulla società napoletana che su tutta la cultura europea (Placanica, 1985). Numerosi gli scienziati, i letterati, gli architetti e gli ingegneri, sia italiani che stranieri, che furono inviati sul posto per studiare i fenomeni e i loro effetti. Fra questi anche Déodat de Dolomieu (de Dolomieu, 1784), il geologo francese da cui hanno preso nome le montagne Dolomiti, nelle Alpi Orientali.
Il governo borbonico inviò una spedizione della Reale Accademia delle Scienze e Belle Lettere di Napoli, composta da scienziati incaricati di eseguire indagini e osservazioni scientifiche; a questa spedizione si deve l’importante monografia di Michele Sarconi (1784), corredata dal famoso Atlante iconografico redatto dagli architetti Pompeo Schiantarelli e Ignazio Stile, da cui sono riprese alcune illustrazioni di questo articolo.
Le numerose e violente scosse causarono imponenti effetti sull’ambiente naturale in tutta la vastissima regione colpita, al punto che ampie aree della Calabria centro-meridionale risultarono sconvolte nel loro paesaggio.
Gli effetti più impressionanti riguardarono i terreni: ci furono enormi frane, crolli, scivolamenti e distacchi di vaste porzioni di terra e fenomeni di liquefazione. Gli effetti furono particolarmente sconvolgenti sul versante settentrionale dell’Aspromonte e nella Piana di Gioia Tauro: intere colline franarono e precipitarono nei fondovalle, in alcuni casi trascinando a valle interi centri abitati; le frane ostruirono numerosi corsi d’acqua, determinando la formazione di laghi.
Complessivamente, gli effetti sull’ambiente naturale, osservati e poi riportati nelle fonti storiche, furono localizzati in una vasta area estesa dalla zona dello Stretto di Messina, a sud, fino alla Valle del Crati, nel cosentino, a nord.
Le scosse del 5 e del 6 febbraio causarono uno tsunami (filmato Tsunami – prima e seconda parte), con grandi ondate che investirono estesi tratti di costa. In particolare, il tratto di costa tirrenica compreso tra Scilla e Bagnara Calabra fu colpito dal catastrofico maremoto che seguì la seconda, forte scossa, quella avvenuta nella notte tra il 5 e il 6 febbraio: le fonti storiche del tempo (Sarconi [1784] e Vivenzio [1788]) parlano di un’onda alta tra i 6 e gli 8 m che travolse le barche, le baracche e le tende che ospitavano la popolazione di Scilla, rifugiatasi sulla spiaggia in seguito alla scossa del giorno precedente.
Il bilancio di danni e vittime per i terremoti e il maremoto fu terribile: secondo le stime ufficiali del Vicario generale del re di Napoli, le vittime complessive furono quasi 30.000 in Calabria (1300 solo a Scilla per lo tsunami), cui si aggiunsero le vittime in Sicilia (almeno 700 nella sola Messina). Come conseguenza della sequenza sismica, durata per più di tre anni, altre migliaia di persone morirono negli anni seguenti a causa di carestie, malattie e stenti (circa 5000).
I centri totalmente rasi al suolo furono 182. Le dimensioni della catastrofe spinsero il governo borbonico, e più in generale tutta la classe dirigente napoletana e calabrese dell’epoca, a prendere coscienza della necessità di una estesa e radicale riforma del sistema economico e abitativo della Calabria. Decine di paesi furono abbandonati e ricostruiti in siti diversi. La ricostruzione di intere città e paesi – come Reggio Calabria, Messina, Mileto, Palmi – fu pensata secondo regole e piani urbanistici totalmente nuovi, che a ragione possono essere visti come uno dei primi tentativi europei di introduzione di una normativa antisismica finalizzata alla riduzione del rischio sismico (Boschi et al., 2000; si veda anche tutta la storiografia sul 1783 ad opera di Augusto Placanica, ad es., del 1982 e 1985).
Le Istruzioni Reali, cioè le norme emanate dal governo borbonico il 20 marzo 1784, suggerirono la forma delle città, la regolarità della dislocazione degli edifici, la larghezza delle strade e diedero regole precise per la struttura degli edifici. Per quel che riguarda l’assetto urbanistico ci doveva essere una strada maestra diritta larga 8 metri per le città minori, da 10 a 13 per quelle più importanti; le strade secondarie, larghe da 6 a 8 metri, diritte e ortogonali tra loro; una piazza maggiore per il mercato grande, proporzionata alla popolazione, e piazze minori con le chiese parrocchiali o altri edifici pubblici. Il cosiddetto sistema delle case baraccate, poi, prevedeva la costruzione di case non oltre i due piani di altezza, la demolizione dei piani in più, la rimozione di balconi e altri elementi sporgenti, l’incatenamento delle travi e dei solai alle mura e l’eliminazione dei tetti spingenti. Dopo il terremoto del 1908, Mario Baratta scriverà “Ottima prova hanno dato anche in questa occasione le case baraccate: quelle con il semplice [piano, ndr] terreno o sono rimaste illese, oppure hanno sofferto ben poco; quelle ad un piano superiore ebbero qualche guasto. […] Infine fra queste costruzioni ricorderò pure che la baracca vescovile innalzata con sistema borbonico dopo il 1783, sebbene un po’ deteriorata dal tempo, è rimasta in buone condizioni […]“. L’edificio vescovile a cui fa riferimento è quello di Mileto che è stato recentemente oggetto di studio del CNR e dell’Università della Calabria per testare l’efficacia del sistema costruttivo.
Se vogliamo comprendere quali siano state le energie in gioco dei terremoti del 1783, si potrebbero confrontare i terremoti più violenti con eventi altamente distruttivi più recenti. I due eventi più forti del 5 febbraio e del 28 marzo ebbero ciascuno un’energia paragonabile a quella rilasciata dal terremoto del 1915 nella Marsica o da quello che sconvolse l’Irpinia nel novembre 1980: sulla base della distribuzione e dell’entità delle intensità macrosismiche, infatti, si calcola che la loro magnitudo Mw fu attorno a 7.0. Le scosse del 6 e 7 febbraio e quella del 1 marzo ebbero invece dimensioni leggermente più ridotte, ma ugualmente distruttive: quella del 7 febbraio, con molta probabilità, fuanaloga al disastroso terremoto che colpì il Friuli nel maggio del 1976 (Mw attorno a 6.5), mentre per le altre due la magnitudo stimata è simile a quella delle scosse più forti della sequenza emiliana del 2012 (Mw attorno a 6.0).
Di seguito sono riportate le mappe della distribuzione degli effetti prodotti dai terremoto del 5 e 7 febbraio e del 28 marzo 1783 (Fonte: DBMI11).
Distribuzione degli effetti prodotti dal terremoto del 5 febbraio 1783. L’area in cui sono compresi i danni più gravi si estende per tutta la Calabria meridionale, dal Vibonese allo Stretto di Messina, ma i suoi massimi effetti raggiunsero il grado XI della scala Mercalli-Cancani-Sieberg (MCS) nella Piana di Gioia Tauro. La scossa fu avvertita in un’area vastissima, estesa a tutta la Sicilia e a gran parte dell’Italia meridionale, fino alla costa amalfitana e al Salento (Fonte: DBMI11).
Distribuzione degli effetti prodotti dal terremoto del 7 febbraio 1783. Il danneggiamento si sovrappose in parte a quello causato dalla scossa del giorno 5, ma l’area epicentrale interessò una zona più a nord rispetto a quelle dei terremoti precedenti, verso le valli del Mesima e del Marepotamo, sul versante tirrenico della catena delle Serre. (Fonte: DBMI11).
Oltre che dal punto di vista storico, la sequenza del 1783 è molto studiata anche da quello sismologico, per questa sua caratteristica di eventi fortissimi avvenuti nel giro di pochissime settimane e a brevissima distanza l’uno dall’altro. Di fatto questa serie di terremoti ravvicinati nel tempo e nello spazio contribuisce molto a definire l’elevata pericolosità sismica della Calabria. Se è vero che una combinazione tanto sfavorevole è meno probabile di sequenze con 1 o 2 scosse più forti e tante repliche, il fatto che si sia verificata almeno una volta ci deve far pensare che possa ripetersi ancora, anche se non siamo in grado di dire quando.
A cura di Filippo Bernardini (INGV-Bo) e Carlo Meletti (INGV-Pi). INGVterremoti è un’iniziativa dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV).