Scatena emozioni problematiche, sentimenti controversi, rabbia e rancore, odio e pietà l’amaro sfogo. la voce della madre che hanno avuto i due fratelli Cutri, disposta a tutto pur di difendere i suoi figli, entrambi vittime e carnefici di una maledetta fuga senza destino da un carcere in Lombardia.Un uomo braccato, alla macchia per sempre, una madre che lancia un appello a non tornare mai più indietro. E lo fa come se ancora guardasse negli occhi i suoi piccoli, dopo aver gridato fino a perdere il fiato, dopo aver consumato tutte le lacrime possibili, dopo averli perdonati entrambi dei loro peccati e raccolto l’adorato Nino nella sindone della sua miserticordia materna: “Mimmo ascoltami: non ti costituire. Tuo fratello si è sacrificato per te. Non ti consegnare, Mimmo. Scappa, scappa Mimmo. Altrimenti Nino è morto per niente”.
Una storia che ci parla in una lingua estrema, che tratteggia il vissuto profondo di un Italia europea ancora intrisa di familismo mediterraneo. E che ci fa ripiombare nella memoria allucinante di un passato cancellato troppo in fretta, un campo di pulsioni e archetipi dove riecheggiano i versi profetici, ora scarni, atonici, persino brutali di quella ‘Ballata delle Madri’, sofferta e urlata lirica pasoliniana, appassita nei fogli di stampa della silloge Bestemmia del Garzanti, improvvisamente inumidita da questo fatto di cronaca nera. “Madri feroci, che vi hanno detto: Sopravvivete! Pensate a voi! Non provate mai pietà o rispetto per nessuno, covate nel petto la vostra integrità di avvoltoi! Ecco, le vostre povere madri! Che non hanno vergogna a sapervi — nel vostro odio — addirittura superbi, se non è questa che una valle di lacrime. È così che vi appartiene questo mondo: fatti fratelli nelle opposte passioni, o le patrie nemiche, dal rifiuto profondo a essere diversi: a rispondere del selvaggio dolore di esser uomini.”
E se c’è chi setaccia il lato patologico, l’ambiguità di questo estremo amore materno molto probabilmente saprà che per Antonella, la madre dei fratelli Cutrì, non c’è altro scopo nella vita se non quello di salvare il figlio superstite, latitante, vulnerabile, fragile, eppure prezioso. Perchè prima di essere una rappresentazione dei media in lei si avvera l’eterno ritorno di sagome antiche, profonde come un concetto, dove l’istinto di madre, proteggere un figlio disperato, si protende inarrestabile fino alle sue più estreme conseguenze.
Vito Barresi