Il punto di vista di una “straniera”, che vi ha soggiornato per molti anni, e ne è fuggita via
Su di una spiaggia della Calabria (Mandatoricccio), “sotto l’ombrellone”, ho conosciuto, a metà agosto, Andrea Maria Nucete. Non è un uomo o un ragazzo, ma una splendida, slanciata ragazza che, in barba al fatto di avere visto ben poco l’Italia (o forse proprio in quanto non vi è “annegata dentro”), ripartendo ne ha fatto, nelle righe che allego, un ritratto molto chiaro e da un punto di vista molto interessante. Essendo io ben decisa a non interessarmi “soltanto” della mia ottica ed amando molto i giovani, cui, sono convinta, occorrerebbe di offrire maggiori possibilità di quelle che l’Italia offre (ammesso che ne offra ancora, se non soltanto “a parole”), le ho chiesto, una volta rientrata al suo paese, di comporre qualcosa sulle motivazioni, le delusioni e le ragioni del suo avere lasciato questa nostra splendida terra per cercare altrove la propria fortuna, benché questo, per lei e per il suo ragazzo (italiano), sia anche significato l’allontanamento (si spera momentaneo), dell’uno dall’altro. Ritengo che meriti di essere diffuso e letto e continuo a restare nella convinzione che l’Italia abbia preso una bruttissima piega: lascia emigrare i cervelli ed apre le braccia alla manovalanza per la camorra.
Bianca Fasano
Tutto ebbe inizio nel 2002, nell’anno dell’euro, delle aspettative, dei cambiamenti. Avevo 11 anni quando, da un’isola dei Caraibi, mi trasferii nel tempio della tradizione, della famiglia, della cultura culinaria. L’Italia è stata la prima meta d’oltreoceano che visitavo e, nella quale, vivevo. Il colpo che ho subito nel venire sradicata da un posto che molti catalogano come paradisiaco a un paese di periferia della provincia di Napoli(Nola) è stato molto forte, sia dal punto di vista del modus vivendi che dal punto di vista umano; al mio arrivo non conoscevo alcuna parola in lingua Italiana e non vi sono state persone o programmi scolastici che mi preparassero all’inizio delle scuole medie che sono state tutt’altro che una passeggiata; dove per certi versi venivo emarginata perché troppo alta, troppo diversa, troppo “straniera”. Ci tengo a puntualizzare che provengo da una famiglia di origini Italiane e che tutti i miei documenti erano in regola, cittadinanza compresa. Così ho iniziato il mio viaggio, che definisco una corsa ad ostacoli; non era facile confrontarsi con persone che non sapevano dell’esistenza di altri continenti, che non avevano interessi nello sport, che nella società erano poco attive, perché diciamocela tutta, al giorno d’oggi sono pochi i ragazzi che hanno interesse per altro che non sia l’iphone, l’ipad, facebook, etc. Ho conosciuto una faccia dell’Italia pigra che non riesce a valorizzare ciò che ha di buono, i talenti innumerevoli che vengono sprecati ogni giorno per ignoranza,incompetenza. Sono riuscita ad andare avanti facendomi strada tra tutte le gomitate e gli sgambetti che mi venivano fatti dai miei stessi coetanei che non pensavano a coltivare passioni, che stavano lì a giudicare gli altri anche non essendo nella posizione di poterlo fare.
Alla fine delle scuole medie sono riuscita ad ottenere l’eccellenza scolastica e avevo il mito del liceo, credevo che andando ad un liceo le cose sarebbero state diverse, mi sbagliavo.
Da un certo punto di vista era peggio,mi rendo conto di descrivere le cose con un velo di negatività ma tutto sommato, cosa siamo noi se non il risultato di tante chiacchiere e pochi fatti?
Ho trovato abulia da parte di alcuni insegnanti che, nonostante la materia prima a disposizione, sottovalutano e mettono alla pari degli altri le menti brillanti che potrebbero impegnare in approfondimenti, ricerche, con il fine di arricchire un percorso e non rimanere nella mediocrità.
Nessuno trionfa e nessuno cade, <in media stat virtus> diceva Oratio e secondo me non c’è cosa più triste. Rimanere nel mezzo, senza mai distinguersi per gli Italiani sta diventando un modo di vivere e di pensare. Una volta uscita dal liceo non mi ero ancora fatta sotterrare da quest’Italia che sembra non voglia andare avanti e mi sono iscritta all’università, dove ho cambiato due volte corso di laurea in quanto ho trovato professori che invece di preoccuparsi di insegnare si preoccupavano di infastidire le alunne, invitandole al loro studio in cerca di tutt’altro che materiale didattico, ho trovato un’università pubblica che rappresenta un sistema ormai obsoleto, troppo burocratico, diciamocela tutta, troppo lento.
Se il fine giustificasse i mezzi appoggerei certi percorsi lunghi e tediosi, ma ti ritrovi a risolvere dei rebus per ottenere un risultato al quale si può arrivare anche senza troppi giri, non si arriva presto ad una soluzione , spesso ci vogliono mesi, c’è un senso del pragmatismo latente, o almeno spero che ci sia.
La colpa di tutto questo io la do a noi giovani, non devono essere gli altri a cambiare ma noi in primis, ognuno di noi deve cercare di dare il meglio di se stesso per poter cambiare le grandi cose; tutto è fatto di piccole parti, tutto ha gli atomi; la nostra società ha noi. Faccio un piccolo esempio, io mi ritengo una cittadina corretta, faccio la differenziata, pago le tasse, non getto rifiuti dalla macchina, non parcheggio al posto dei disabili, non alimento il commercio clandestino acquistando dai venditori ambulanti e la lista di un corretto cittadino può continuare ad oltranza ma non basta; noi i corretti cittadini siamo tanti, sicuramente, ma non dobbiamo isolarci, non dobbiamo evitare quelli che si comportano male, quelli che si comportano in modo scorretto; dobbiamo alzare la testa e farglielo notare che sbagliano, che quando vai ad un ufficio pubblico non stanno facendo un piacere a te se fanno ciò che gli compete, ciò per cui paghiamo le tasse, dovrebbero essere gentili, sorridere, offrire un servizio per lo meno dignitoso. Non ci prendiamo in giro, tutti noi sappiamo che in Italia la maggior parte delle cose funzionano secondo alcuni “meccanismi” che tutti noi conosciamo e che nessuno di noi denuncia e porta alla luce, i favoreggiamenti ad esempio, quante volte ne abbiamo sentito parlare? quanti di noi si sono trovati scavalcati solo visto che non avevano le “conoscenze giuste” e io mi chiedo, quali sono? Non sono per caso la cultura, le buone maniere, l’onestà? no, e lo sappiamo, cosa facciamo per cambiare questa posizione? nulla.
Ci si lamenta quando le scoperte scientifiche vengono fatte da Italiani all’estero, ci chiediamo perché? Forse perché i nostri ricercatori non sono trattati come meritano? io credo di si.
Personalmente ho fatto la scelta di trasferirmi negli Stati Uniti, mi sono innamorata, e ho scoperto un modo di vivere differente, un modo di pensare lontano anni luce da noi. Ho potuto ammirare come dal nulla si può creare qualcosa osannata da tutto il mondo, sulla quale tutto il mondo ha gli occhi. Sono amareggiata perché L’Italia ha tanto, e non lo sfrutta, ha la cultura, ha la storia, ha i reperti, ha tutto ciò che il mondo desidera, ha il mare, la montagna, le tradizioni.
Perché è così difficile smettere di pensare a se stessi per un attimo e capire che non bisogna ingozzarsi con il fine ultimo di diventare il pesce più grosso, la personalità più influente.
Al mio ritorno dagli States trovo un’Italia cieca per 3/4, si sa, non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere. Sono ancora troppo pochi quelli che amano davvero questa terra, che soffrono nel vedere crollare una domus a Pompei, o qualche dipinto di artisti Italiani venduto a qualche collezione privata o peggio a musei esteri.
Un ringraziamento a questo paese io lo devo, anche se può sembrare contraddittorio. All’Italia devo soprattutto il merito di essere stata un’ottima palestra; gli anni vissuti qui li ho trascorsi a fare a gomitate tra quelli che hanno i santi in paradiso e quelli che come me cercano una strada nel giusto, per meritocrazia. E non mi sono arresa, ringrazio l’Italia per avermi allenata ad avere quella marcia in più che in altri luoghi del mondo non hanno.
La bellezza di questo paese è incommensurabile, ma sono costretta a dire, “in vacanza”. Finché gli stessi Italiani non avranno il coraggio di essere orgogliosi di quello che hanno, di quello che sono e non si potrà andare verso un futuro nel quale i nostri figli ne avranno uno.
Apriamo gli occhi, lavoriamo sodo, facciamo valere i nostri diritti ed eseguiamo i nostri doveri con serenità, con fede, senza sperare che qualcosa cambi da se; se non puliamo il giardino le erbacce non spariranno, né tantomeno smetteranno di crescere. Ho ventidue anni, e parlo ai miei coetanei, a quelli della generazione prima della mia, e alla successiva, non rimaniamo a guardare.
Italia, parla meno e fai di più, ne gioverai.
Andrea Maria Nucete