Successo del pittore Antonio Raspa (Tony l’artista) a Montecarlo
Da più di trent’anni Antonio Raspa, calabrese verace e originario di Gasperina (CZ), e da un decennio trasferitosi a Torino per ragioni di lavoro, è un fiume in piena. Tanta la sua attività alle prese con tavolozza e pennelli è incontenibile. La sua produzione può oggi vantare centinaia di opere che, fatto singolare per un artista, difficilmente immette sul mercato. E quando vi è proprio costretto lo fa con evidente riluttanza e con molto disagio. Un quadro, si lascia andare a cuore aperto, «è una tua creatura, diciamo pure “un figlio”, a cui ti affezioni e, come in un transfert, finisci con l’identificarti; dovertene distaccare è come se venisse meno una parte di te».
Fresco di una riuscita e ammirata esposizione a Montecarlo dove ha messo in mostra le sue produzioni realizzate con una tecnica che non aveva ancora adottato, già sta pensando di allestirne un’altra nel capoluogo piemontese, in questo mese di luglio, e un’altra ancora in Calabria, in agosto. In che cosa consiste la sua nuova sperimentazione è lui stesso a illustralo. In questo nuovo ciclo, spiega, ho pensato di coniugare «l’acquarello con la grafite». È chiaro che sia l’uno che l’altra sono sempre esistiti, ma «trattati separatamente». Raspa, a questo punto della sua lunga attività ha pensato di «fondere le due tecniche» con dei risultati sorprendenti. A detta di alcuni critici ne è scaturita una operazione «appropriata» e addirittura «unica». «Nel corso dei miei sei lustri di esperienza pittorica – si lascia andare candidamente Raspa –, desideravo tanto ottenere un esasperato verismo nei soggetti da me rappresentati. E in questi ultimi anni ho sempre rincorso l’idea di trarre ispirazione da qualcosa che mi intriga da tempo: i dipinti parietali pompeiani». Da qui i contorni soffusi e al tempo stesso corrosi dal tempo di paesaggi calabresi: su tutti la sua Gasperina, ma anche flash di località turistiche, note e meno note. E poi suggestive inquadrature marine, panorami mozzafiato dai quali emana intatto il «sapore delle antiche civiltà della nostra terra». E ancora: figure di antiche donne e uomini comuni, volti corrosi dalla fatica e dalla sofferenza, visi di bimbi in tutta la loro ingenuità e immediatezza che hanno riscosso l’ammirazione e il plauso di pubblico e critica monegaschi.
Con questa sua recente mostra nel Principato di Monaco, Raspa ha esportato un pezzo della sua Calabria: «Per promuovere le bellezze e la cultura della nostra terra e al tempo stesso – precisa tra il serio e il faceto – diffondere un po’ di aria di casa nostra e mitigare così quella nostalgia che non ti abbandona mai». Nella splendida cornice del litorale del mar Ligure si sono materializzati i volti internazionali dei Bronzi di Riace, rivisitati alla sua maniera ovviamente, ma anche inquadrature caratteristiche di città d’arte come Gerace con la sua cattedrale, Serra San Bruno con l’antica certosa e qualcuna della sue tante suggestive chiese. E poi Rossano, con la vezzosa chiesetta di San Marco, non tralasciando squarci del vecchio borgo desolato di Badolato e le immancabili pale di fichidindia, «brand inconfondibile della nostra regione».
Ma la cifra che fa classificare questo pittore come uno dei più originali ed estroversi della sua generazione è la tendenza a fissare i suoi colori dappertutto. Oltre a tele e cartoncini, sono utilizzati altri materiali come tavole antiche, panche e cassettoni dismessi, vasellame e persino tegole. Così come pure le tecniche sono fra le più disparate. Oltre all’olio e all’acquarello, Raspa utilizza infatti con estrema disinvoltura la china e la sanguigna, il guazzo e l’affresco, la matita e la grafite. Fino ad approdare alla tecnica mista già accennata e che è stata al centro della sua ultima performance. Tutte opere che suggellano indubbiamente un passaggio evolutivo dell’artista e che danno vita, nell’ambito del filone figurativo a lui congeniale, a delicate e armoniose nature morte. Le quali, sia che rappresentino astici o gallinelle marine, sia che raffigurino frutti come melagrane, angurie o grappoli d’uva, l’elemento dominante, e che balza subito all’occhio del fruitore, è appunto quel rosso pompeiano, ultimo approdo della sua pittura.
(Francesco Pitaro in Gazzetta del Sud, Arte, Cultura, Spettacolo in Calabria, 18 agosto 2013)