Dall’inchiesta della Dda di Catanzaro emergono i metodi della triarchia che governava le piazze di spaccio nel Soveratese. Il dramma di una famiglia per un debito di 2500 euro: «Che dobbiamo fare… dobbiamo usare le maniere forti…»
CATANZARO «Come dobbiamo fare con il figlio vostro… insomma non è puntuale…». C’è un caso di estorsione che investe due degli indagati nell’operazione “Prisoners tax” che ha portato a misure cautelari nei confronti di 25 persone accusate a vario titolo di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, detenzione ai fini di spaccio ed estorsione.
Un giovane di Sant’Andrea Apostolo dello Jonio aveva contratto un debito di 2.560 euro con gli spacciatori. In questa occasione, stando ai brogliacci dell’indagine, Giuseppe Corapi, ritenuto a capo, insieme a Domenico e Carmine Procopio, della triarchia che governava le piazze di spaccio del Soveratese, aveva incaricato Alessandro Aversa di rintracciare il ragazzo e recuperare il denaro anche mettendo in mezzo i suoi genitori.
Il compito era stato eseguito, tanto che i pusher erano riusciti, con minacce e intimidazioni, a farsi consegnare i soldi in due tranche, la prima delle quali del valore di 1.200 euro, mentre per la seconda di 1.450 euro c’era l’impegno a consegnarla a fine mese. È il dramma di una famiglia con un figlio dipendente dalle sostanze stupefacenti che si ritrova alle calcagna gente legata alla cosca Procopio di San Sostene. Da febbraio ad aprile 2017 la famiglia viene vessata dalle pressioni per recuperare il denaro.
A febbraio 2017 il padre del ragazzo nota un giovane aggirarsi intorno a casa sua. Visto il genitore, il giovane, che dice di chiamarsi Davoli, chiede del figlio. Non specifica di più e va via. Il giorno seguente, però, la famiglia riceve una telefonata. L’interlocutore, con accento calabrese diverso da quello di tale Davoli, comincia a inveire e minacciare al telefono dicendo che il figlio gli doveva 2.800 euro e se non avesse restituito i soldi «mi avrebbe buttato giù la casa con una “pala”» ovvero con una ruspa.
Ma le minacce non si limitavano a questo. Il primo marzo 2017, visto che il figlio non si era presentato all’appuntamento concordato, Aversa, lasciando in linea Corapi, chiama i genitori e li incalza, minacciando ritorsioni fisiche contro il figlio: «Che dobbiamo fare… dobbiamo usare le maniere forti…». (aletru – Corriere della Calabria)