Nel Parco Nazionale del Pollino scoperti faggi di oltre 600 anni, le latifoglie decidue di clima temperato più antiche del mondo. Il segreto di lunga vita è una crescita lenta ma che aumenta nel corso dei secoli, una condizione che sembra accomunare molti alberi longevi del pianeta inclusi i pini loricati.Pubblicato in “Ecology” l’articolo “Lessons from the wild: Slow but increasing long-term growth allows for maximum longevity in European beech”
Scoprire, studiare e preservare le foreste vetuste e i vecchi alberi è una priorità assoluta per la conservazione della natura in questa epoca di cambiamenti globali. In questo studio abbiamo utilizzato il metodo dendrocronologico, ossia basato sulla misurazione degli anelli di accrescimento, per ricostruire le storie di crescita degli alberi in una faggeta vetusta altomontana del Pollinello (Parco Nazionale del Pollino). Due degli alberi datati con il metodo dendrocronologico sono di oltre 620 anni, un’età che li distingue per aver raggiunto una longevità massima nell’ambito della foresta temperato decidua. I due alberi sono stati chiamati Michele e Norman in memoria del botanico Michele Tenore e del viaggiatore e scrittore Norman Douglas che, rispettivamente, nell’ottocento e nei primi del novecento descrivono le fantastiche foreste del Pollino rimarcando la naturalità diffusa degli ecosistemi. Per fortuna la faggeta del Pollinello è stata solo marginalmente toccata dalle forti utilizzazioni forestali del secolo scorso per cui, ancora oggi, si rinvengono tratti praticamente primevi dove gli alberi nascono, crescono e muoiono seguendo un ciclo naturale.
Per le alte caratteristiche di naturalità e per i caratteri ecologici unici di foresta decidua che entra in contatto con le pinete oromediterranee di pino loricato il popolamento è stato candidato nella lista del patrimonio mondiale dell’umanità “Ancient and Primeval Beech Forests of the Carpathians and Other Regions of Europe”.
In queste foreste vetuste la storia della crescita individuale è molto variabile; un albero può impiegare da uno a oltre sette secoli per raggiungere una grande dimensione (diametro a petto d’uomo maggiore di 60 cm). Va rimarcato che in questi boschi la carie, ossia il marciume del legno, attacca spesso i tronchi del faggio rendendo difficile la datazione. Tuttavia, una ricostruzione delle età evidenzia la possibilità che alcuni alberi con il tronco cariato possano avere oltre 800 anni fino a sfiorare il millennio. La ricerca in corso con metodi integrati dendrocronologia e radiocarbonio ha quindi l’obiettivo di verificare scientificamente questa proiezione basata per ora su modelli di crescita basati sugli anelli misurati nella prima parte (ossia la più antica) del legno sano.
La regola che contraddistingue questi vecchi faggi, i più antichi d’Europa, è quella di un accrescimento lento ma crescente nel lungo termine, una condizione che si sta confermando sempre più nel mondo degli alberi quale prerequisito per raggiungere longevità estreme. Soppressione della crescita nelle prime fasi della vita dovuta a competizione e condizioni climatiche estreme sembrano così essere il segreto di una vita lunga. Sempre a causa delle condizioni ambientali severe gli alberi non sviluppano altezze importanti ma mantengono una dimensione più ridotta intorno ai 15-25 m che conferisce loro una maggiore resistenza agli eventi climatici estremi. Faggi di oltre 500 anni sono stati rinvenuti in condizioni stazionali simili nelle boschi vetusti dei Parchi Nazionali del Casentino e di Abruzzo, faggete riconosciute patrimonio mondiale Unesco nel 2017. Gli alberi habitat che racchiudono queste faggete vetuste ospitano una biodiversità unica di tante specie di vegetali e animali oggi a rischio di estinzione perché l’uomo nel corso dei secoli ha distrutto quasi dappertutto nel bioma temperato questi ambienti di foresta vergine. Grazie ai nuclei di foresta vetusta sopravvissuti insieme ad la politica del rewilding attuata dai Parchi Nazionali e dai Carabinieri Forestali nel corso degli ultimi decenni oggi si sta cercando di salvare questi scrigni di biodiversità e di servizi ecosistemici per la collettività.
Si tratta di politiche ambientali e di ricerche di lungo termine possibili grazie ad una collaborazione tra Parchi Nazionali, in questo caso del Pollino che ha finanziato lo studio, ed Università, nella fattispecie di questo studio Dipartimento di eccellenza Scienze Agrarie e Forestali dell’Università della Tuscia. La ricerca viene ora divulgata quale buona prassi per la conservazione degli ecosistemi forestali nell’ambito del progetto FISR-Miur Italian Mountain Lab con la finalità di diffondere i contributi della biologia della conservazione nella gestione forestale per intraprendere la strada dello sviluppo sostenibile in attuazione degli obiettivi previsti nell’ambito dell’Agenda 2030. (Le Scienze – Università della Tuscia)