Cosa penso io del Corso… e altro

 Nel paese di Epimeteo (NOTA: il fratello di Prometeo, solo che questi pensava prima e il germano dopo!), molti, finora muti come la notte, ora mi chiedono cosa ne pensi del Corso. Diramo dunque una circolare, a beneficio di tutti.

  1. Il Corso non è mai stato oggetto di interventi organici. Nei decenni, ognuno ha fatto quello che ha voluto, e vediamo un guazzabuglio di altezze, colori, forme…
  2. Tale trionfo della fantasia al potere si leggeva benissimo nei marciapiede, dalle più svariate dimensioni e dai più disomogenei aspetti; e oggettivamente scomodi quando non pericolosi.
  3. Sono dunque d’accordo sulla ristrutturazione.
  4. Il Corso, in realtà, era la statale 106; e, fino a un vent’anni fa, vi passavano autobus e TIR; bene se il traffico automobilistico viene ridotto, meglio se eleminato.
  5. Ma i negozi… Amici miei, ancora, nel 2019, c’è un negoziante così primitivo da credere che venderà se il cliente gli parcheggia l’auto di fronte al negozio? Se un tale esercente esiste ancora, gli consiglio di cambiare mestiere. Io entro in un negozio se la merce è buona e il prezzo adeguato (“iustum pretium”, direbbe l’Aquinate); e se il negoziante è gentile e competente. Se Soverato si è ridotta al commercio delle svendite, non è certo colpa della viabilità, ma della scarsa qualità. E qui mi fermo.
  6. È ora che, salvo casi acclarati, i cittadini di Soverato camminino a piedi: la città è pianeggiante. Quando è stato piastrellato il Lungomare, qualcuno pianse, ma finora non è morto nessuno di eccessiva deambulazione!
  7. Quale sarà l’effetto del Corso? Ce ne accorgeremo con i fatti, se la popolazione vorrà frequentarlo, farlo tornare luogo d’incontro com’era un tempo.

 Del Corso riparleremo in autunno, quando l’esperienza ci avrà insegnato molto di più di ogni fallace teoria. Approfitto per esternare un pensiero parallelo: il Lungomare è brutto, gettate di cemento; senza scordare che presenta già segni di degrado. C’erano ben altri progetti, ma…

 Almeno, abbiate pietà: in quei cassoni grigi, mettete terra fertile, di montagna, non, come è avvenuto, terriccio e detriti di riporto dove non cresce manco la gramigna.

Ulderico Nisticò