Nel 14 dopo Cristo

Nel 14 dopo Cristo moriva Cesare Augusto; e anche di lui bisognerebbe celebrare la ricorrenza in tutto l’Occidente. Vedrete che qualcosa faranno: fortuna sua che nacque a Roma e morì a Nola, e certo qualcuno ci penserà; mica è Sirleto o un qualsiasi altro calabrese!
Eppure, amici miei, e lo scrivo con la massima titubanza per non dare fiato ai tromboni plagiari e bufalari, un poco nostro paesano sarebbe anche lui. Svetonio riferisce: “Quando era neonato gli fu imposto l’appellativo di Thurino, in memoria dell’origine degli avi, o perché il padre Ottavio aveva combattuto con buona fortuna in quella regione contro gli schiavi fuggiaschi”, che, aveva già detto prima il biografo, erano bande superstiti delle rivolte di Spartaco e di Catilina. Caio Ottavio Thurino, adottato dal prozio, diverrà Caio Giulio Cesare Ottaviano, e infine Augusto, signore dell’Occidente romano dal 42 a. C., di tutto l’Impero dal 31, fino al trapasso dopo un regno così lungo, dice Tacito, da far dimenticare la repubblica e lasciare dopo di sé quasi solo dei nati nel principato.
Che si chiamasse Thurino, abbiamo due possibili spiegazioni, e la prima sono i detti successi militari del padre. L’altra è più curiosa: Marco Antonio, nella fase di reciproche accuse che precedette la battaglia di Azio, chiama Thurino il rivale come se ciò fosse un’ingiuria; faceva riferimento non tanto alla località (Thuri, detta ufficialmente dai Romani, quando la resero colonia, Copia, era in fondo erede della gloriosa e infelice Sibari), quanto alla diceria che, sempre secondo Antonio, il bisnonno di Ottaviano sarebbe stato un ex schiavo, di mestiere cordaio, e di Thuri; e il nonno, un banchiere. Ma la stirpe Ottavia era originaria, ai tempi dei re, di Velletri.
In una dolcissima e pungente ode, la III, 9, Orazio, già compagno di studi di Ottaviano ad Atene, già suo avversario a Filippi, poi buon amico, si permette uno svago di corte, raccontando di una rivalità per la bella Lidia con un potente chiamato Thurino; e vinta da Orazio! Erano ancora tempi in cui si poteva scherzare con l’imperatore!
Insomma, e sperando che nessun provincialotto se ne esca con “Cesare Augusto era calabrese”, c’è un poco di noi anche in lui.
Ma, quando era ancora molto giovane, dalle nostre parti gli accadde una brutta avventura. Morto Pompeo Magno in Egitto, era rimasto in armi il figlio Sesto Pompeo con una flotta. Ottaviano lo attaccò, iniziando quella che venne chiamata la Guerra Sicula. Narra Svetonio cosa gli accadde nel 37: “Fatto passare in Sicilia l’esercito, mentre voleva raggiungere la parte restante delle truppe nel continente, assalito all’improvviso da Democare e Apollofane, ammiragli di Pompeo, a gran fatica sfuggì con una sola nave. Andava da Locri a Reggio a piedi, e, viste delle biremi pompeiane che prendevano terra, e pensando che fossero sue, sceso sulla spiaggia, per poco non fu catturato. Mentre per sentieri cercava scampo, un servo di Emilio Paolo suo amico, dolendosi che il padre Paolo fosse stato da lui proscritto, e come se gli si offrisse occasione di vendetta, tentò di ucciderlo”.
Reggio e Blanda ci sono note con l’appellativo di Iulia, a prova di una rifondazione triunvirale. Troviamo a Scolacio i seviri Augustales, una confraternita dedita al culto dell’imperatore, dopo che venne dichiarato assunto tra gli dei e Divus Augustus.
Di Giulia, la sola figlia naturale di Augusto, e che tanti dispiaceri gli diede per condotta poco consona alla sua politica di moralizzazione dei Romani, e della sua morte a Reggio abbiamo già scritto su queste pagine.

Ulderico Nisticò

 

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